Totò, il principe della risata

Totò, il principe della risata

Foto: cinefiliaritrovata.it

Per parlare di Totò, discuterne e rendere omaggio alla sua arte, bisogna considerare degli aspetti fondamentali. È nato a Napoli, si è formato a Napoli, le sue radici sono a Napoli; con la sua arte è diventato meta napoletano, ha portato, cioè, Napoli nel mondo.

L’infanzia di Totò

È apparso sul palcoscenico della vita il 15 febbraio 1898, nel rione Stella, ora rione Sanità. Fin da piccolo ha manifestato la sua indole a esibirsi, a imitare i personaggi del quartiere e a crearne di nuovi. Pare che i suoi primi spettacoli siano stati quelli in cui indossava un lungo camicione e improvvisava una messa per la madre e la nonna Teresa.

Sono tempi duri, quelli dell’infanzia, la madre lo veste con ciò che trova in casa: scampoli di stoffa o vecchi vestiti, con colori sgargianti e fantasie a fiori, motivo per cui nel rione lo chiamano “‘o femminiello”. Il piccolo Antonio una volta si è arrabbiato, si è strappato i vestiti di dosso e, rimasto in mutande, ha improvvisato una scenetta, facendo delle movenze curiose per dileggiare chi lo aveva preso in giro, col risultato di provocare risate e applausi.

Totò capisce di avere un talento e, dopo esperienze scolastiche negative e altrettanti fallimentari tentativi come garzone o imbianchino, si cimenta nelle prime esperienze attoriali, fatte perlopiù di spettacolini improvvisati per le strade del rione. Nei primi anni venti, si trasferisce con la famiglia a Roma; qui trova un impiego – senza paga – al Teatro Salone Elena, diretto da Umberto Capece. Inizia così a imparare il mestiere e pian piano, spettacolo dopo spettacolo, si fa apprezzare.

Il successo

Cambia compagnia e approda al Teatro Jovinelli; dopo una settimana, in tutta Roma si parla di quell’omino con le movenze simili a quelle di una marionetta, che strabuzza li occhi e che ha delle espressioni buffe. Dopo il militare, inizia le tournée nei caffè concerto di varie città come Milano, Torino, La Spezia e ritorna a esibirsi a Roma nella Sala Umberto. Negli anni quaranta fonda una sua compagnia e si dedica al genere che in quel periodo va per la maggiore: l’avanspettacolo.

Il suo talento è esuberante e, come prevedibile, la dimensione teatrale gli sta un po’ stretta; approda nel mondo del cinema nel 1937 con “Fermo con le mani”: niente male, come inizio, ma è con “San Giovanni decollato” (1940), che può assaporare il vero successo. Inizia un’intensa attività cinematografica che lo porta a girare una media di due film all’anno. Una delle particolarità di quelle pellicole è che la maggior parte dei titoli hanno il suo nome, come Totò al giro d’Italia. Totò cerca casa, Totò sceicco, Totò cerca moglie; caso quasi unico nel mondo della cinematografia italiana.

Memorabili sono state le interpretazioni in coppia con altri giganti della recitazione, come Eduardo De Filippo (Napoli milionaria), Peppino De Filippo (Toto, Peppino e la dolce vita, Toto, Peppino e la malafemmina, Toto, Peppino e le fanatiche, Toto e le donne, La banda degli onesti, La cambiale), Aldo Fabrizi (Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi, Guardie e ladri, I tartassati), Fernandel (La legge è legge).

Lodi e critiche

Negli anni cinquanta Totò è il divo popolare per eccellenza, il suo immenso successo al botteghino è decretato dal pubblico delle grandi città, soprattutto da quello meridionale; è un pubblico semplice, popolare e desideroso di sentirsi vivo. Non si può dire altrettanto degli intellettuali, della critica, che tendono a sottovalutarlo a non apprezzare le sue performance, a considerarlo un umorismo di bassa lega. Non capiscono che è un attore così vitale e intenso, da rivelarsi completamente in pochi fotogrammi; il suo talento esplosivo non aspetta che un pretesto qualsiasi per accendersi e scatenarsi in un’esibizione strepitosa.

Il cinema d’autore

È stato accusato dalla critica di accettare film scadenti e di non dedicarsi a progetti più ambiziosi; in realtà tenta di alzare il tiro, provando a realizzare un Don Chisciotte con Zavattini, ma il tentativo naufraga, perché i produttori – Ponti e De Laurentiis in primis – glielo impediscono con contratti capestro che lo costringono a girare tante pellicole. Per fortuna alcuni autori di livello riescono a incrociare il percorso artistico di Totò e viene diretto da grandi registi come De Sica, Rossellini, Lattuada, Monicelli; in questi film non fa ricorso alla farsa, alla maschera, bensì è un personaggio consapevole della propria competenza.

Una delle collaborazioni più riuscite è stata quella con Pier Paolo Pasolini: un sodalizio fecondo che lo rende felice, perché quell’esperienza lo fa entrare nel cinema impegnato. In “Uccellacci e uccellini”, un film sulla morte dell’ideologia, Totò si esibisce – ça va sans dire – in una magistrale interpretazione che gli vale una menzione speciale al Festival Di Cannes e il Nastro d’Argento come miglior attore protagonista.

Nobiltà di titoli…

Dopo esser stato ufficialmente riconosciuto come figlio da Giuseppe De Curtis, non si accontenta del cognome e va alla caccia di nobili spiantati. In cambio di un vitalizio si fa adottare dal nobile Francesco Maria Gagliardi Focas e ottiene il titolo di Principe; sempre in cambio di un reddito permanente, ottiene, tramite un certo Grimaldi, altri titoli, fino ad arrivare a essere l’Erede al trono di Bisanzio.

Nobile anche nei comportamenti, di lui disse una volta Aldo Fabrizi: ”Totò sul set non accettava mai il cestino, non andava nelle trattorie, preferiva i grandi ristoranti; una volta dismessi i panni delle sue macchiette che interpretava al teatro e al cinema, tornava a casa dove amava vestirsi di tutto punto”.

…e d’animo

Non ha mai dimenticato da dove proveniva, per questo è stato molto generoso nei confronti di chi era meno fortunato. Un suo autista raccontò che Totò, nei percorsi in automobile, lo faceva fermare ogni volta che vedeva un mendicante, per fargli la carità; siccome le soste erano tante, lo stesso autista gli metteva in macchina giornali e riviste per far si che non guardasse fuori dal finestrino, evitando di arrivare in ritardo nei numerosi appuntamenti che c’erano nel corso della giornata.

Le donne

Era un donnaiolo e aveva amato molte donne. La sua prima relazione seria fu con Liliana Coppola, che si suicidò, perché si sentiva trascurata dall’attore. Nel 1932 sposò, prima con rito civile e poi con quello religioso, Diana Bandini Rugliani di cui Totò era molto geloso; una volta, dopo averla sorpresa a conversare con un pompiere, durante un suo spettacolo, la chiuse a chiave in camerino. Il matrimonio finisce male e nel 1932 la coppia ottiene una sentenza di annullamento in Ungheria; nonostante ciò i due continuano a vivere sotto lo stesso tetto insieme alla loro figlia, Liliana. Quando Diana lo lasciò per sempre, Totò compose la celebre canzone “Malafemmena”.

Si era invaghito – non corrisposto – di Silvana Pampanini, finendo in seguito tra le braccia di Franca Faldini, con la quale convola a finte nozze in Svizzera, per salvare le apparenze; ma questo provoca discredito da parte di moralisti e benpensanti.

Totò fu disprezzato dalla critica, dal pubblico raffinato, dagli intellettuali fino a quando morì, nel 1967. Dopo la sua morte, specie negli anni successivi al sessantotto, furono riscoperti, a uno a uno, i suoi film; la critica raffinata – non solo quella italiana – cominciò a considerarli come qualcosa che andava visto, rivisto e riproposto, tant’è che ancora oggi è tanto apprezzato, persino dai giovanissimi.

Non si può far ridere, se non si conoscono bene il dolore, il freddo, la fame, l’amore senza speranza e la disperazione della solitudine; insomma, non si può essere un attore comico senza aver fatto la guerra con la vita.