Uno dei premi più ambiti da coloro che oggi si cimentano con l’arte della scrittura è sicuramente il Premio Bancarella. Non tutti, però, immaginano che questo riconoscimento abbia origini risalenti addirittura all’Ottocento.
La nascita di questo premio deriva da una lunga tradizione legata ai Librai Pontremolesi, i quali, dall’Alta Lunigiana (nell’estremo nord della Toscana, in provincia di Massa Carrara), sono emigrati verso il resto del nord Italia per generazioni e generazioni, portando con loro stessi i libri da vendere.
Ogni anno, in primavera, i venditori ambulanti pontremolesi si riunivano al Passo della Cisa (il quale divide la Lunigiana dalla Padania), dove decidevano di concerto come spartirsi le zone nelle quali andare a vendere i loro prodotti ed evitare, così, la concorrenza interna. Questo ritrovo, inoltre, consentiva loro di reperire utili informazioni su come e dove rifornirsi dei libri. La clientela tipica di questi venditori ambulanti, infatti, non aveva alte esigenze e aspettative sui testi da acquistare: pertanto, l’ideale per i commercianti era trovare editori disponibili a vendere le rimanenze di magazzino a modici prezzi. Queste venivano pagate attraverso i proventi che gli ambulanti riuscivano a racimolare dalla vendita di formaggi, castagne e foglie di gelso.
Come abbiamo detto, questa tradizione ha origini molto antiche: nel XIX secolo, questi venditori ambulanti compravano testi popolari come, ad esempio, l’Orlando Furioso, la Gerusalemme Liberata o le Tragedie di Manzoni; poi, con la gerla ricolma del loro bottino (che prevedeva, oltre ai libri, anche pietre da limare e altra merce), si spostavano per le campagne del nord Italia per rivendere i loro prodotti ai contadini che incontravano sul loro cammino.
Così scrive Oriana Fallaci nel 1952 in Hanno nella valigia i cavalieri antichi:
Aprivano per esempio una pagina qualsiasi dell’Orlando Furioso e cominciavano a declamare. Non leggevano, ma ripetevano le ottave che avevano sentito leggere da altri. I contadini, dopo essersi fatti giurare sulla Madonna dei Sette Rosari che lì dentro c’erano scritte proprio quelle belle parole, si decidevano a prendere il libro per non meno di dieci soldi.
Tuttavia, come potete immaginare, se da un lato la vendita di merce all’aperto presenta il vantaggio di avere meno costi “di gestione” rispetto ad un negozio, e di poter praticare quindi ai clienti un prezzo più basso, dall’altro bisogna tenere in considerazione la variabilità delle condizioni atmosferiche durante i cicli stagionali annuali e la difficoltà nello spostamento di tutta la merce ogni volta che si doveva cambiare zona di vendita.
Per questo motivo, ad un certo punto i librai lunigianesi decidono di stabilirsi in banchi stabili situati nei cuori pulsanti delle città. I bancarellai, come venivano definiti, non erano certo provvisti delle stesse risorse economiche dei grandi commercianti dell’epoca, pertanto erano costretti a praticare prezzi bassi per attirare una ben determinata fascia di clientela: i passanti frettolosi, coloro che non hanno né il tempo né la voglia di immergersi nella lettura e nella disamina di trame e quarte di copertina. A costoro, i venditori (ormai sempre meno ambulanti) vendevano stampe, libretti teatrali, calendari, opere religiose e romanzi popolari.
Questo fenomeno culturale, nel tempo, ha acquisito sempre più consenso e popolarità, portando ai bancarellai delle vere e proprie fortune. Continua così la Fallaci nel suo articolo:
Alla fine dell’Ottocento molti girovaghi pontremolesi avevano fatto un patrimonio. I loro figli andavano a vendere in carrozza ed avevano aperto notevoli Case Editrici. I meno fortunati possedevano almeno una bancarella fissa sotto i portici di qualche grande città. Da vecchi, cercavano un po’ di riposo, a quel modo. Ci pensavano i figli, cresciuti nelle ceste dei librai, a vagare per le montagne.
Ancora oggi, molte delle librerie del nord e del centro Italia sono gestite dai Pontremolesi, i quali hanno provveduto ad aprirle negli anni. Possiamo definire queste famiglie di librai una vera e propria casta, in quanto, sebbene le trasformazioni avvenute nel corso degli anni, rappresentano da generazioni i precursori dell’editoria a basso prezzo, accessibile ad ogni tasca.
Ma veniamo ora alla nascita vera e propria del Premio Bancarella, il quale sgorga dalla fonte della tradizione migratoria lunigianese. Compresa la portata e l’importanza di questo fenomeno, nell’agosto del 1952 ha luogo il primo raduno dei Librai Pontremolesi, nel Comune di Mulazzo – dove si erano trasferiti una sessantina di librai. Alla manifestazione prendono parte numerosi bancarellai (giunti da diverse città), editori, scrittori e politici. Queste le parole usate dalla Fallaci per descrivere l’evento:
Molti parlarono, ma il discorso impegnativo lo fece Gotta (il sindaco di Mulazzo, ndr.) che, tra l’altro, disse un gran bene delle bancarelle. I librai stavano intorno, in piedi sotto i castagni, ad ascoltare con piglio competentissimo. L’indomani si barricano dentro il municipio di Pontremoli e fanno il solenne giuramento. In quella sala del palazzo comunale, proprio sotto il Campanone, le loro facce rugose apparivano, nella penombra, solenni come quelle di arcaiche statue di legno. Uno a un certo punto si alzò, alto e massiccio, con i baffoni all’umbertina, e disse: “Ed ora, amici, propongo un solenne giuramento: quello di ritrovarsi nel nostro paese, ogni anno, in un dato giorno, a questa stessa ora, finché Iddio ci conserva, e fare una bella mangiata”. Seguì un lungo silenzio; poi i librai alzarono lentamente all’altezza del viso la mano e giurarono.
Nasce così l’ambito Premio Bancarella, l’unico riconoscimento della letteratura italiana a discrezione esclusiva dei librai. Grandi penne vinsero questa “competizione” durante i primi anni di svolgimento: basti citare Hemingway nel 1953 con Il vecchio e il mare (col quale vinse poi anche il Premio Nobel), o Pasternak con Il dottor Zivago (altro testo insignito con la massima onorificenza letteraria).
Questa manifestazione si è da subito rivelata un’idea vincente e di successo, tant’è che oggi rientra tra gli appuntamenti fissi nel calendario delle più prestigiose manifestazioni letterarie in Italia. Parte del suo successo è sicuramente dovuta all’assenza di una classica giuria addetta all’esame dei testi in concorso: il vincitore è decretato sulla base del mercato che il libro riesce a conquistare, non prescindendo comunque dal suo valore letterario. Così scrive, infatti, il libraio bibliofilo Alberto Vigevani:
Un premio che non ha, come tanti altri, ipocrite pretese letterarie o in ogni modo culturali, e viene assegnato ai libri più venduti, in una visione del mondo merceologica e incontrovertibile.
Laureata in Finanza e Mercati, sono da sempre appassionata di arte e letteratura. Uno dei miei migliori difetti: divoratrice (e compratrice) compulsiva di libri – soprattutto rosa! Nel 2021 esce il mio romanzo di esordio, “Ho provato a non amarti”.