Il volo libero del gabbiano Jonathan Livingston

Fonte immagini: per l'immagine di testa, dettaglio della locandina del film Il gabbiano Jonathan ©1973 Richard Bach-Hall Bartlett; per l'edizione italiana riportata nell'articolo, ©1977 BUR Rizzoli.

Possiamo dividere il mondo in due categorie: chi è stato cambiato dalla lettura de Il gabbiano Jonathan Livingston e chi non l’ha letto, o non è stato in grado di capirlo. In fondo c’è da comprenderli: la maggior parte delle persone cerca la sicurezza convinta che essa sia lo scrigno della felicità. Per queste persone questo libro resterà un testo oscuro come un antico manoscritto in lingua morta. In realtà la sicurezza è solo un passaggio: essa spesso è il contrario di tenacia, e tranquillità spesso fa rima con tristezza.

La nostra sicurezza, oggi, il nostro porto sicuro, di solito sono i soldi. Un buon titolo, un buon lavoro, una buona sistemazione. Per ottenere le quali di solito facciamo sacrifici morali talmente ampi che non riusciamo a vederli che dopo molto (spesso troppo) tempo, quando ormai probabilmente è tardi.

Chiaramente, possiamo scegliere di vivere solo per mangiare (la scelta più semplice, di solito. Alla lunga anche la più pesante); oppure di volare (scelta di solito più impegnativa che alla lunga porta alla realizzazione). La passione per il volo, sia chiara, è solo metafora di qualunque cosa sospinga la nostra curiosità verso l’amore per la vita. Scoprire, conoscersi, migliorarsi. Andare nella direzione che il nostro cuore più vuole. E certo, a rischio, certezza, anzi, di essere frainteso, incompreso. Emarginato.

La prima scelta in genere ci trasforma spesso anche in brutte persone. Saremo quelli che rendono reietti quelli che ancora hanno la forza di provarci, o che obbligano a schiavitù ancor peggiori delle nostre coloro che si appropinquano al nostro porto sicuro e si arrendono alla visione di massa.

Come funziona l’essere umano e come smette di farlo

Le briciole sfamano, ma solo lo stomaco. Non la mente, non il cuore, non lo spirito. E sempre briciole restano. Di fatto questo libro è, tra le righe, un concentrato di saggezza e arte di vivere senza limiti. Richard Bach, l’autore, descrive perfettamente come l’essere umano funziona (nonostante lo faccia descrivendo un gabbiano) e come troppo spesso tristemente smetta di farlo.

Il libro, oggi un vero e proprio cult, descrive il percorso di auto-perfezionamento del gabbiano che insegue il suo desiderio di accrescersi e con esso imparare a vivere (in una figura retorica che ricorda il rinascimento) attraverso il sacrificio e con gioia; tale percorso è stato visto e interpretato da diverse generazioni (è comunque un libro di 40 anni fa) secondo diverse prospettive ideologiche, che vanno dal cattolicesimo al pensiero positivo, dall’anarchismo cristiano alla New Age.

“Un gabbiano non si preoccupa di apprendere altro che l’abc del volo: come andare dalla riva al cibo e ritorno. Per un gabbiano l’importante non è volare, è mangiare. Per quel gabbiano però l’importante non era mangiare, ma volare. Più di ogni altra cosa, il Gabbiano Jonathan Livingston amava volare”.

È chiaro sin da queste parole che tutti noi siamo innanzi a una scelta. Il gabbiano Jonathan Livingston è un romanzo breve (anche se tecnicamente sarebbe un racconto lungo: la catalogazione a romanzo nasce dal fatto che nella sua versione originale il libro è corredato da un lungo elenco di fotografie di Russell Munson che ne accrescono notevolmente la paginatura) scritto da Richard Bach nel 1970, erroneamente a volte catalogato come fiaba, o favola.

Come imparare a migliorarsi

Dalla dedica dell’autore posta in apertura del romanzo, infatti, “Al vero Gabbiano Jonathan che vive nel profondo di tutti noi”, diventa immediatamente chiaro che il percorso di ricerca compiuto dal protagonista (il gabbiano) è auspicabile dall’autore anche per il lettore. Questo perché, tra le righe, l’opera contiene istruzioni per imparare a migliorarsi e liberarsi delle catene e del dolore della nostra vita di stampo moderno/consumistico/produttivo, attraverso un percorso di miglioramento interiore guidato in una serie di tappe intermedie che anche il lettore può compiere. L’opera si configura facilmente quindi sia come un romanzo di formazione (per la crescita del protagonista) sia come una guida spirituale per il lettore. In pratica, un romanzo di formazione spirituale prima ancora che di crescita.

La salute dell’anima risiede nel volo del gabbiano: superare i propri limiti

Viene posto qui un importante accento sulla salute dell’anima, metaforizzata con il volo del gabbiano, per esso amore supremo: “Non inseguire ciò che si ama significa decretare la morte dello spirito“. Il volo che va a perfezionarsi sempre di più è dunque metafora del distacco dal corpo e dal mondo terrestre (e dai suoi vincoli che imprigionano i sogni, cioè l’anima) per incontrare una dimensione superiore, metafisica. Per chi ha bisogno di parole specifiche qua si utilizza anche il termine “paradiso, specificando che no, attenzione: il paradiso non è un luogo. Non si trova racchiuso nello spazio o nel tempo, e nemmeno oltre essi. Il paradiso è una condizione. È superare i limiti.

Quali limiti? Beh, i limiti. Mille miglia all’ora è tanto? È un limite, però. Un milione di miglia? È sempre un limite. La velocità della luce? Qualsiasi numero è un limite. Fino a che ti imposterai dei limiti da superare (o anche solo da raggiungere) sarai sempre in gabbia. Il paradiso è dall’altra parte, la perfezione non ha limiti. Velocità perfetta vuol dire esserci, essere là.

Tale ricerca va impostata sull’amore, non sulla matematica. Il mondo moderno invece corre. Ha fretta, ci sono risultati da produrre, obiettivi da raggiungere. Gli uomini sono quel che fanno, non ciò che sono. Carriera, soldi, dieta, apparire, dimostrare (in questa epoca di social più che mai). Il futuro in genere è una cosa programmabile, o comunque riadattabile alle esigenze della società. Ci si aspetta qualcosa da te, devi essere quel qualcosa. Devi riempirti la pancia (il portafogli) come tutti gli altri che non pensano ad altro che a riempirsi il portafogli. Mettersi in sicurezza. Il mondo funziona così, se non ti metti al sicuro come tutto il resto del mondo allora per il resto del mondo sei un problema.

Il pensiero laterale è un problema. Per la maggior parte dei gabbiani volare non conta, conta mangiare. Alcuni invece vogliono capire. Migliorarsi. Inseguire quel che amano. E in genere, quando imboccano quella via la loro strada li porta lontani, lontanissimi. Molto più lontani di quanto tutti gli altri possano anche solo lontanamente immaginare (o vedere, sia chiaro. Per vedere la grandezza devi esserti già allontanato dal piccolo). Perché una volta che inizi a capire inizi a vivere la vita per come è, senza i limiti imposti da quel che devi.

Non è sempre bello: capita, a chi prende questa via, esattamente come quello che accade al protagonista, di sentirsi le ali a pezzi, pesanti come il piombo. Capita di decidere che è finita. Di lasciarsi precipitare. Fino a che ti rendi conto che non sei morto, no. Sei solo cambiato. E che l’ebbrezza del volo ti rimetta subito in carreggiata. Che essa allontani la fatica e la tristezza. Che ne prenda il posto. Se tu non impari, il mondo che incontrerai domani sarà identico a quello che hai vissuto ieri. Se ieri avevi dei limiti, li avrai anche domani.

Il volo come meta ultima

Jonathan Livingston è un gabbiano dello Stormo Buonappetito. Non vi è nella trama alcun accenno che ci faccia anche lontanamente intuire l’epoca in cui si svolge la vicenda, né al luogo. Gli ambienti sono le scogliere e soprattutto il cielo. Possiamo pertanto immaginarla nel presente della pubblicazione (gli anni ’70), ma in realtà è ambientabile in ogni tempo e ogni luogo.

Come abbiamo detto, a differenza degli altri gabbiani, la sua vera passione è quella per il volo in sé: non come mezzo, ma come meta ultima. Basta darsi un’occhiata attorno per rendersi conto di quanto questa visione sia difficile da comprendere per quasi tutti. Forse anche per te che leggi.

E di quanto sia reale.

E reale è talmente questa storia, che il gabbiano inizialmente reprime questa sua passione proprio per il timore di essere diverso; ma il suo animo è troppo forte, e prende presto a dedicarsi al volo con metodo, esercizio, incredibile sacrificio (ben pochi riescono a vederlo, questo sacrificio).

Jonathan diventa così un volatore eccezionale (per scrivere il romanzo che lo ha reso celebre in tutto il mondo l’autore ha utilizzato la sua esperienza come aviatore professionista. Il nome del gabbiano è un’aperta citazione del pilota acrobatico John H. Livingston, particolarmente attivo nel periodo fra gli anni venti e trenta del secolo scorso), capace di velocità e acrobazie incredibili, ma viene presto espulso dagli anziani. Beh, Jonathan continua ad allenarsi da solo fino a giungere al massimo. Al limite. Il giorno in cui lo supera incontra due gabbiani luminosi e splendenti, che lo invitano a seguirli in un superiore, sebbene temporaneo, livello di esistenza (metafora per la presa di coscienza), dove Jonathan incontrerà altri gabbiani come lui, tra cui l’anziano Chiang, che ha trovato il modo di volare istantaneamente con il pensiero.

Per raggiungere tale livello Jonathan dovrà allenare soprattutto la mente, alla ricerca costante di un’idea di libertà che coincida con l’immagine del Grande Gabbiano, la creatura superiore idealizzata dei gabbiani. L’istruzione del nostro amico raggiunge livelli eccelsi, e quando Chiang svanisce verso una dimensione superiore, Jonathan resta con altri a istruire i nuovi gabbiani volatori che costantemente arrivano, ma per poco. Nuovi livelli di crescita gli impongono di tornare indietro, sulla Terra (qualunque fosse il luogo ove si trovava ora). Per completare la propria crescita filosofica, infatti, egli ha bisogno di diventare da studente e istruttore a maestro: capace di perdonare e istruire proprio lo stormo che l’aveva cacciato. È il passaggio al livello superiore che stava cercando: la legge della libertà diventa legge d’amore.

Il consiglio lo tratta duramente, arriva persino a minacciare di bando chiunque lo guardi. Ma lui resta, si esercita, mostra. Molti gabbiani iniziano a seguirlo, nonostante le leggi rigorose dello stormo che ben presto iniziano a non contare più nulla. E come aveva fatto lui, anche loro apprendono. Si rivede allora, Jonathan, nel giovane gabbiano Fletcher Lynd, il suo primo discepolo, che ben presto si affianca a Jonathan nell’insegnamento ai nuovi sognatori. Quando Jonathan si rende conto che anche Fletcher è giunto al livello di maestro, comprende che la sua missione è conclusa e svanisce nel nulla, esattamente come aveva fatto Chiang.

Jonathan insegna (ai suoi seguaci nella storia ma anche a noi che lo leggiamo) a non temere di distinguersi, di essere diversi, ma di inseguire comunque la nostra strada. Spiccare il volo, ecco quel che conta: librarsi nel cielo, fare esperienze, soddisfare le curiosità: non smettere mai di oltrepassare nuovi orizzonti (che purtroppo, ahimè, per molti, oggi, appaiono solo come fisici, incapaci di vedere i reali muri che ostacolano la propria crescita). Jonathan insegna infatti che oltre al coro della massa, esistono leggi interiori che gridano per essere soddisfatte e che la società moderna (ma probabilmente qualunque altra società umana nei tempi) lavora per mettere a tacere. Tali leggi invocano la perfezione che è propria della libertà assoluta di cercarsi ed emergere, ognuno nel proprio modo (perché, è ovvio, non siamo tutti uguali). Non siamo qua per sopravvivere, ma per vivere. E soprattutto non siamo qua per vivere omologati. Essere innovatori in un ambiente totalmente conservatore è sempre, inizialmente, compito da reietti. Da sfigati, da morti di fame. Fino a che si passa dall’altra parte, quella di chi ce l’ha fatta e allora, neanche allora l’uomo comune riesce a vedere la fatica e il duro lavoro che ciò a comportato.

Il libro comprende infatti, tuttavia, anche una amara riflessione. Accadrà poi un giorno, durante una lezione di volo, che Fletcher Lynd commetterà un errore e andrà a schiantarsi con inaudita violenza contro una roccia, rimanendone solamente tramortito. Come già era stato per Jonathan, quella sarà la soglia del passaggio alla dimensione superiore.

Questa quarta parte del libro inizialmente non era stata pensata per farne parte, ma poi chissà perché, l’autore ha optato di inserirla, per essere onesto fino in fondo: in essa dapprima Jonathan Livington stesso e poi anche Fletcher Lynd vengono visti come emanazioni del Grande Gabbiano, perché le persone tendono a dare le proprie interpretazioni a ciò che vedono. Se qualcosa di normale, che tutti possono fare solo abbandonando la visione del branco, è per essi qualcosa che va troppo oltre la loro visione di normalità, ecco che subentra il mistico. È talento, dicono, ci devi essere portato, sei tu ad essere diverso da noi. Non è mai il culo che ti sei fatto: è culo. Ecco che la prima emarginazione diventa, dopo l’acclamazione, una emarginazione ancora più grande. È la società moderna: si lasciano da parte i veri messaggi per portare avanti solo una eccezionalità fine a se stessa, rendendo vani i messaggi dei gabbiani che ce l’hanno fatta.

Ecco perché c’è anche chi questo libro non lo può capire.

C’è da aggiungere anche un’altra cosa, però, per chi lo può capire: e cioè che il romanzo di formazione spirituale ha in sé una caratteristica che ne evolve il percorso; una volta fatto nostro, sarà necessario trasmetterlo ad altri, attraverso il medesimo insegnamento. Sono in tanti, là fuori, ad aver bisogno di un percorso di crescita simile. La maggioranza.

Ecco perché il sottoscritto, che l’ha letto tre volte in tre momenti estremamente diversi della propria esistenza, lo consiglia fortemente a chiunque necessiti di crescere.

Come la maggior parte dei libri capaci di dare insegnamenti, infatti, esso andrebbe letto e riletto più volte a distanza di tempo, affinché le nostre nuove esperienze siano capaci di offrirci nuove interpretazioni e significati a parole che ad ogni lettura precedente non avevano per noi ancora il significato completo (e probabilmente mai l’avranno del tutto).