A Palazzo Mora a Venezia “When art meets Architecture”

Dal 22 maggio al 21 novembre si sta tenendo a Venezia la Biennale dell’Architettura al Palazzo Mora. Si sa che il noto museo di Venezia, porta avanti tante importantissime Biennali. Per non stare mai ferma, soprattutto in questo periodo in cui l’arte ha preso casa nell’incertezza.

La stessa Biennale porta come tema anche la musica. E in tutto questo, nella mostra When Art meets Architecture ci inserisce una grande questione metafisica intitolata Time, Space, Existence.

Quale arte può suggerire riflessioni intorno a questo tema, più dell’Architettura e il design, che coprono al proprio interno il tempo del vissuto dentro le pareti, lo spazio in cui questo avviene, e la connessione di questi elementi con l’esistenza, dunque la vita che osserva sé stessa, riconoscendo il mondo come qualcosa di sempre interno, perché vissuto. La questione relativa al tempo e lo spazio, che Kant definiva forme apriori della ragion pura. Dunque qualcosa che in realtà è interno all’esistenza. Se noi non ci fossimo, come potrebbe esserci anche il nostro movimento all’interno di una casa, e come potrebbe durare tutto ciò?

Una questione che è stata tanto dibattuta, e che ha portato la filosofia a una cartina di tornasole. Questa mostra raccoglie opere di artisti che hanno spazializzato l’argomento. Sono designer, architetti. Accompagnatori di una camminata metafisica, dal sapore ancora un po’ heideggeriano, ma squisitamente anche kantiano.

Neil Kerman ad esempio, che lavora molto sull’arte visiva e lo fa anche attraverso il design. Il brasiliano Juca Maximo che ha miscelato bene la scultura con il design. Anna Persia che è una designer di interni. Howard Zi che porta una commistione di pittura e design. E tanti, tanti altri. Artisti che rispondono di un’altra funzione. Forse non funzionalisti ma figli di quel periodo artistico. Quella figura liminare fra l’artigianato e l’arte, che esposta alla Biennale dell’architettura di Venezia, entra nel significato che all’arte da il mercato. Dunque circola. Trasmette significati perché lascia segni.

E tutto questo è nel profondo di una camminata nella mostra che diventa una riflessione su quella rivoluzione copernicana incompresa ancora dal senso comune, che vede il mondo come qualcos’altro, mentre si dimentica di sé.