La Metafisica di Giorgio De Chirico

La Metafisica di Giorgio De Chirico

Quelle atmosfere sospese con ampi orizzonti e utopistici spazi  urbani  nei quali trovano posto edifici classicheggianti e misteriosi simboli. L’assenza della concretezza umana, pur tuttavia presente nelle immaginarie costruzioni, nelle lunghe prospettive, nei solitari monumenti, nei manichini antropomorfi che ne essenzializzano il pensiero.

È questo che resta nello sguardo e nell’anima di chi guardi le tele di Giorgio De Chirico (1888-1878), il pittore che ha “inventato” la corrente Metafisica nei primi decenni del novecento.

Metafisica”, come scrive lo steso De Chirico in “Sull’arte metafisica” nel 1919, “è quanto all’aspetto serena; dà però l’impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre quelli già palesi, debbano subentrare sul quadrato della tela.”

La sensazione di un’eterna attesa in un paesaggio onirico, che trascende il reale pur mantenendone i connotati trasporta lo spettatore in uno scenario “altro” che comunque richiama una familiarità sia culturale che visiva.

La Metafisica

Il termine, mutuato dalla filosofia, rimanda a concetti di eterno, stabile, assoluto che nella concezione di De Chirico vuol sintetizzare l’essenza di una realtà che viene però interpretata dal pittore per creare la descrizione di un mondo fisico che oltrepassi le apparenze per studiare le complesse relazioni tra le cose, trasportandole in un contesto di una spazialità atemporale.

Nata in contrapposizione con le Avanguardie cubiste e futuriste, e in generale all’astrazione, la corrente pittorica si rivelerà una ulteriore fonte di ispirazione per i successivi  Surrealismo e Dadaismo.

I quadri

Come non ricordare le famosissime “Piazze d’Italia” nelle quali le prospettive, le arcate e le lunghe ombre dell’imbrunire armonizzano vedute d’insieme classicheggianti, a cui si sommano elementi architettonici o particolari contemporanei e gli ampi cieli verdi che conferiscono all’insieme un’aurea di vuotezza e di quasi stranianza. La profonda cultura classica dell’autore riverbera anche nelle tele dove manichini o parti di essi sostituiscono la presenza umana come “ Le Muse inquietanti” (1917/19) o in “Ettore e Andromaca” (1917 o l’altro del 1963) dove l’episodio omerico viene ripreso e interpretato come un abbraccio tra due figure stilizzate e geometrizzate.

Un’esperienza pittorica, quella della Metafisica, che ha segnato molta parte dell’evoluzione artistica di tutto il secolo scorso.