Alfonsina Strada, “il diavolo in gonnella”

Alfonsina Strada, “il diavolo in gonnella”

Sono davvero molte le donne, nate alla fine del 1800, che hanno saputo affermare la loro individualità e indipendenza. Una di loro, Alfonsina Strada, fu la prima ad iscriversi a gare di ciclismo nelle quali doveva competere con i colleghi uomini. La battaglia per la parità di genere nello sport agonistico è iniziata, dunque, più di un secolo fa ed è ancora in corso. Ancora oggi Alfonsina Strada può essere di ispirazione per tutte le donne che vogliono affermarsi nello sport. E non solo.

Alfonsina Strada, “il diavolo in gonnella”

Fonte foto: ilfattoquotidiano.it

Origini

Alfonsa Rosa Maria Morini nasce il 16 marzo 1891 a Castelfranco Emilia in una umile famiglia contadina. È la seconda di dieci figli. Impara ad andare in bicicletta attorno ai dieci anni. Il padre ha comprato dal medico del paese la sua vecchia bici molto malridotta ma ancora utilizzabile. In Alfonsina si accende una grande passione e, già a quattordici anni, trova il modo di iscriversi alle prime competizioni di nascosto dai genitori. Si dice che nella prima gara che disputa a Reggio Emilia vince un maiale vivo. Nonostante ciò, i genitori non approvano questa sua attività che la porta lontana da casa e in un ambiente prettamente maschile. Le dicono che potrà farlo quando sarà sposata, se suo marito sarà d’accordo.

Alfonsina Strada, “il diavolo in gonnella”

Fonte foto: fit5.it

Le prime gare

A sedici anni Alfonsina trova il modo di andare a Torino. Qui il ciclismo è molto apprezzato tanto che vi ha sede l’Unione Velocipedistica Italiana. Inoltre a Torino una donna che va in bicicletta non è motivo di particolare scandalo. Nelle gare che corre qui riesce a prevalere anche su Giuseppina Carignano conquistando il titolo di “miglior ciclista italiana”. Conosce Carlo Messori che la convince a partecipare al Grand Prix di Pietroburgo dove riceve una medaglia dallo Zar Nicola. Nel 1911 a Moncalieri è suo il record mondiale di velocità femminile.

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Fonte foto: rossomodena.com

Le nozze con un marito-manager

Nel 1915 Alfonsina Morini sposa Luigi Strada e, finalmente, trova in lui il suo primo tifoso nonché manager. Come dono di nozze riceve una bici da corsa nuova, su sua richiesta, ovviamente.
È il 1917, in piena Guerra Mondiale, quando Alfonsina chiede ed ottiene l’iscrizione al Giro di Lombardia. È tesserata come dilettante di seconda categoria e nessun regolamento lo vieta. Nessuna prima di lei, però, lo aveva fatto. Fu l’ultima a completare il tragitto ma una ventina di corridori non ci riuscirono. Per lei è sufficiente e decide di alzare la mira: vuole partecipare al Giro d’Italia.

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Fonte foto: viaggiatoriignoranti.it

Non importa cadere finché hai la forza di rialzarti

Nel 1924 Luigi Strada viene ricoverato in manicomio ove rimane fino alla morte. Alfonsina non può mantenere la famiglia con le sei lire al giorno che guadagna facendo la sarta. Decide di iscriversi al Giro d’Italia che quell’anno viene boicottato dalle squadre più prestigiose che chiedono, e non ottengono, ricompense in denaro. Forse per la mancanza di grandi nomi la sua iscrizione viene accettata anche se non tutti sono d’accordo. Addirittura sui giornali il suo nome verrà scritto “Alfonsin” o “Alfonsino”, non è chiaro se per errore o per la volontà di non rendere pubblica la partecipazione di una donna.

Alfonsina Strada, “il diavolo in gonnella”

Fonte foto: socialmediaitaly.com

Il Giro d’Italia

Alfonsina Strada, dunque, parte con una divisa nera e il numero 72 dichiarando:

“Vi farò vedere io se le donne non sanno stare in bicicletta come gli uomini”.

Non ha certo la forza per vincere le tappe ma riesce a correrne regolarmente quattro poi, causa maltempo e una brutta caduta, in seguito alla quale sostituisce il manubrio con un manico di scopa, arriva fuori tempo massimo. Ma il successo di pubblico è tale e tanto che le viene concesso di partecipare, fuori gara, al resto del Giro. Ad ogni tappa viene accolta dal pubblico con grandi onori e regali. Addirittura si organizza una raccolta fondi per lei.

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Fonte foto: travelemiliaromagna.it

Alfonsina femminista all’avanguardia?

Scrive Silvio Zambaldi su La Gazzetta dello Sport il 14 maggio 1924:

“In sole due tappe la popolarità di questa donna si è fatta più grande di tutti i campioni assenti messi assieme. Lungo tutto il percorso della Genova-Firenze non si è sentito che chiedere: -C’è Alfonsina? Viene? Passa? Arriva?
A mortificazione dei valorosi che si contendono la vittoria finale, è proprio così. È inutile, tira più un capello di donna che cento pedalate di Girardengo e di Brunero. (…) D’altronde a quale scopo, per quale vanità sforzarsi di arrivare un paio d’ore prima? Alfonsina non contende la palma a nessuno, vuole solo dimostrare che anche il sesso debole può compiere quello che compie il sesso forte. Che sia un’avanguardista del femminismo che dà prova della sua capacità di reclamare più forte il diritto al voto amministrativo e politico?”

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Fonte foto: tuediodesign.it

Alfonsina, una donna coi piedi per terra

Alla fine del Giro d’Italia c’è anche Alfonsina. È vero che non è più in gara ma ha resistito ed è arrivata fino in fondo. Intervistata dal Guerin Sportivo dichiara:

“Sono una donna, è vero. E può darsi che non sia molto estetica e graziosa una donna che corre in bicicletta. Vede come sono ridotta? Non sono mai stata bella; ora sono…un mostro. Ma che dovevo fare? La puttana? Ho un marito al manicomio che devo aiutare; ho una bimba al collegio che mi costa 10 lire al giorno. Ad Aquila avevo raggranellato 500 lire che spedii subito e che mi servirono per mettere a posto tante cose. Ho le gambe buone, i pubblici di tutta Italia (specie le donne e le madri) mi trattano con entusiasmo. Non sono pentita. Ho avuto delle amarezze, qualcuno mi ha schernita; ma io sono soddisfatta e so di aver fatto bene”.

Alfonsina Strada, “il diavolo in gonnella”

Fonte foto: meer.com

Il maschilismo dell’epoca fa in modo che non possa più partecipare alle successive edizioni del Giro ma Alfonsina non si dà per vinta. Riesce a vincere 36 corse contro ciclisti uomini e a conquistare la stima di molti di loro, tra i quali Costante Girardengo. Abbandonerà la sua bicicletta molti anni dopo per sostituirla con una Moto Guzzi 500 cmc che guiderà fino alla morte nel 1959.