si dice

si dice ma non si scrive (a volte sì)

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Si dice…cosa?

Oggi effettivamente analizziamo una cosa che non è proprio che si dica. Sicuramente non si scrive. Al massimo si sente (e solo a volte lo si rappresenta con nuovi costrutti grammaticali).

si dice

Il raddoppiamento fonosintattico

Detto anche geminazione sintagmatica, raddoppiamento sintagmatico, rafforzamento (fono)sintattico o cogeminazione (ma raddoppiamento fonosintattico ci sembra già abbastanza chiaro) è un fenomeno di sandhi esterno tipico dei dialetti italiani centro-meridionali ma anche dell’italiano standard.

Ho capito, spiego

Il sandhi (unione, in sanscrito) è il modo in cui gli antichi grammatici indiani indicavano tutto quell’insieme di cambiamenti fonetici che avvengono in confine di morfemi (il più piccolo elemento dotato di significato in una parola: in questo caso parliamo di sandhi interno) o tra parola e parola (sandhi esterno, proprio quello di cui stiamo parlando oggi).

Il termine è stato poi ripreso anche dai nostri linguisti di fine ottocento per indicare la stessa cosa.

In pratica

Per quel che riguarda l’italiano, il raddoppiamento fonosintattico consiste semplicemente, in fase di pronuncia, nel raddoppiamento dalla consonante iniziale di una parola in alcuni contesti sintattici.

L’origine di tale pratica è da ricercarsi indubbiamente all’assimilazione di consonanti finali latine:

Ad Brundisium: A Brindisi

laddove nella pronuncia italiana la d latina sparisce per lasciare spazio al raddoppiamento della b: foneticamente, infatti, essa si pronuncia

Abbrindisi.

 

Gli esempi

Andiamo a casa.

La pronuncia effettiva di questa semplice frase è

An’diam’accasa.

Come è evidente, la c di casa subisce il raddoppiamento fonosintattico. Non è solo un fenomeno di suono, ma anche, appunto, di sintassi: la catena del parlato infatti non prevede alcuna pausa tra le parole. La loro pronuncia verrà quindi influenzata dalla loro posizione all’interno della frase.

L’italiano

A qualcuno di voi non sembra funzionare esattamente così la frase? È perché dipende dalla vostra regione di provenienza. Il fenomeno, infatti, tipico del toscano e dell’italiano centro-meridionale, è quasi del tutto inesistente nelle regioni del nord.

Ma chiariamo subito una cosa.

Ortoepia

Dal greco, parola corretta. L’ortoepia è la corretta pronuncia di una lingua, intesa sia nel suo sviluppo orale che in quello scritto. È in pratica la pronuncia normativa. Ci torneremo meglio quando tratteremo la parola petricore, ad esempio.

Anche l’italiano possiede una sua ortoepia, ovviamente. Nel caso che stiamo prendendo in esame in questo momento, poiché (come abbiamo visto) il fenomeno è regolare nei dialetti toscani e anche centrali, esso fa parte dell’ortoepia dell’italiano standard puro (tanto da essere insegnata nelle scuole di dizione), fino alla formazione di grafie univerbate di un sacco di parole.

D’accordo…

L’univerbazione è l’unione (sia grafica che verbale) di più parole che, anche divise, formavano già un sintagma (le unità della struttura sintattica di un enunciato) ricorrente. Ad esempio,

Pomo d’oro.

In italiano accade molto spesso con congiunzioni (invece, al posto di in vece), negli avverbi (cioè, al posto di ciò è), e, appunto, anche solo nella conformazione grafica di alcuni elementi puramente fonologici, come nel caso del raddoppiamento fonosintattico.

È quindi il caso di

affinché, appunto, appena, davvero, ovvero, sicché, soprattutto, giammai, cosiddetto, frattanto, lassù, ammodo, neppure, sebbene, ossia, abbasso, abbastanza, abbenché, accanto, accapo, acché, acciò, acciocché, addentro, addì, addietro , addirittura, addosso, affine, affondo, affresco, allato, allesso, ammeno, ammenoché, ammodo, apparte appetto, appiè, appieno, apposta, appostissimo, appresso, appuntino, arrivederci, assolo, attorno, attraverso, avvenire, beccafforbice, fantappiè, finattantoché, oltracciò, pressappoco…

si dice

E la mia preferita, anzichenò.

si dice

Ma cercatele. Ce ne sono un numero spropositato!

si dice

Il punto dell’Italia, dicevamo

Il rinforzamento avviene soprattutto a sud della linea La Spezia-Rimini. A nord di essa i dialetti tendono proprio a evitare le consonanti doppie, mentre nell’Italia meridionale (man mano che si scende) si ottiene l’effetto inverso, tendendo ad applicare il raddoppiamento anche dove la lingua standard non lo prevede affatto.

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