Divenuto famoso nel mondo per la sua maestria nell’esaltare il buio e la luce con il nome di Caravaggio, Michelangelo Merisi deve molto del suo successo ad un terribile trauma.
La decapitazione
Ci troviamo nel 1599 e, come tanti altri suoi contemporanei, Caravaggio sta cercando un modo per esaltare la volumetria dei corpi sfruttando al meglio la luce e le conseguenti ombre. Le energie spese inizialmente in questa ricerca non coinvolge in modo maniacale l’artista. Una notte però nella già poco stabile mente di Michelangelo un evento lo porta a pensare in modo ossessivo a questi due opposti.
Non si può avere la totale certezza delle fonti ma pare che l’11 settembre del 1599 Michelangelo Merisi si sia trovato a far parte della folla radunatasi nella piazza di Ponte Sant’Angelo per assistere all’esecuzione di Beatrice Cenci. Si trattò di una decapitazione in pubblica piazza ai danni di una giovane donna che subiva sistematicamente abusi da parte del padre che la teneva in clausura e che venne accusata di parricidio.
Beatrice ammette sotto tortura la propria colpevolezza ma in realtà pare che tra i suoi complici ci fossero anche la madre ed i fratelli e che quindi anche Beatrice non fosse che uno dei tanti mandanti. L’esecuzione avviene per volontà di Papa Clemente VIII che anela ai beni della famiglia Cenci.
Epifania di morte
La morte per decapitazione di Beatrice Cenci risveglia in Caravaggio sentimenti che lo accompagnano da che l’artista ha memoria. Rimasto orfano da parte di padre a soli 6 anni il giovane Michelangelo perde presto anche lo zio che si stava prendendo cura di lui. Cresce con un temperamento poco incline alla riflessione e da adulto preferisce vivere con i sensi annebbiati. Ecco quindi che quando vede una giovane innocente salire coraggiosamente sul patibolo per andare incontro ad una morte orribile, l’orfano si risveglia. Pochi anni dopo questo risveglio, nel 1606, Caravaggio uccide per sbaglio un uomo durante una rissa.
Vittima e carnefice, luce e buio
Neanche a farlo di proposito, l’esecuzione di Beatrice avviene proprio al crepuscolo, così da questo evento in avanti Caravaggio inizia a studiare in modo maniacale in che modo la luce agisce sulle figure e che tipologia di ombre prende vita da esse. Costruisce una sezione di stanza in miniatura all’interno della quale muove dei piccoli manichini e con l’aiuto delle candele studia ogni variante possibile. In questi primi anni, nonostante una vita sregolata e piena di eccessi, Caravaggio si sente dalla parte delle vittime, della luce e di Beatrice. Nel 1606 a causa dell’omicidio colposo l’artista subisce un’altro duro corpo al suo senso di giustizia e di morale.
Giuditta e Oloferne
Un esempio perfetto per capire quanto la luce ed il buio nel lavoro di Caravaggio siano strettamente connessi alla sua elaborazione soggettiva del bene e del male lo troviamo in due delle sue tele. In entrambi i casi parliamo di Giuditta e Oloferne.
Il primo viene dipinto proprio nel 1599, in questa prima versione la protagonista, nonostante stia compiendo un atto terribile, sembra inondata da una luce divina. Il suo vestito è in prevalenza bianco e l’espressione del viso ci comunica un certo disagio per quello che sta facendo. Cambiando quadro e passando a quello dipinto da Caravaggio tra il 1606 e il 1610 troviamo tutta un’altra Giuditta.
Il volto sicuro rivolto verso il fruitore del dipinto, il vestito nero e la luce che viene letteralmente inghiottita dal vestito. In questi anni Michelangelo vive come fuggiasco e non può avere come modella la solita Fillide Melandroni, la concubina che ritroviamo più volte nei suoi dipinti, ma non è questo il motivo che porta l’artista a passare dal biondo al bruno. Infatti nella prima Giuditta sono racchiuse anche la vicenda della giovane Beatrice Centi e la paura di Caravaggio di incappare in una morte violenta. Nella seconda Giuditta non c’è più posto per l’innocenza, nemmeno quando a compiere questo gesto è una eroina biblica.
Lavoro come grafica-creativa, illustratrice e content editor freelance.
Sono diplomata in grafica pubblicitaria e parallelamente ho studiato disegno e copia dal vero con Loredana Romeo.
Dopo il diploma ho frequentato beni culturali presso l’università di lettere e filosofia e parallelamente seguivo un corso di formatura artistica, restauro scultoreo e creazione ortesi per il trucco di scena.
A seguire l’Accademia Albertina di Belle Arti con indirizzo in grafica d’arte (che mi ha permesso di approfondire: disegno, illustrazione, incisione, fumetto).
Sono sempre stata interessata e assorbita dal mondo dell’arte in tutte le sue forme e dopo la prima personale nel 1999-2000 non ho mai smesso di interessarmi alle realtà che mi circondavano.
Nel 2007 ero co-fondatrice e presidente dell’Associazione Arte e Cultura Culturale Metamorfosi di Torino e in seguito ho continuato e continuo a collaborare con vari artisti e ad esporre.
L’amore per l’arte in tutte le sue forme, il portare avanti le credenze e le tradizioni familiari hanno fuso insieme nella mia mente in modo indissolubile: filosofia, letteratura, esoterismo, immagine e musica.