Primo, Secondo e Nuovo Futurismo. Breve cronistoria di un movimento in continua evoluzione

L’inizio del Novecento fu caratterizzato da una serie di innovazioni i cui risvolti non esitarono ad influire sull’arte. Automobili, biciclette e aerei, permisero all’uomo di spostarsi velocemente rispetto ai mezzi del passato. Il tutto anche grazie alle due rivoluzioni industriali che scossero, nel bene e nel male, l’Europa.

 

La velocità fu la chiave di volta, il solvente distruttore di qualsivoglia vecchio collante, in favore di svolte progressiste che rifiutavano, persino aprioristicamente, i vecchi culti accademici.

 

Si badi tuttavia che la logica del dinamismo quale spostamento sequenziale di immagini più o meno complesse, contro i vecchi linguaggi statici come pittura, scultura o architettura, risalisse ai celeberrimi fratelli Lumière quando, in una sera parigina del 1895, presentarono al grande pubblico il concetto di cinema.

 

Tant’è, passeranno pochi anni ancora prima dell’esordio alla stampa per il Movimento Futurista di Filippo Tommaso Marinetti che, sul quotidiano francese Figaro, porrà le basi di una ideologia antitradizionalista, temeraria, corraggiosa, volta ad esaltare “lo schiaffo e il pugno”.

 

“Noi vogliamo: distruggere il culto del passato… Disprezzare profondamente ogni forma di imitazione… rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa”. Questi i toni incendiari adoperati dai futuristi che, nelle strade di Milano nel 1910, era possibile leggere da appositi volantini sparsi qua e là, e firmati da intellettuali del tutto nuovi per il pubblico colto quali Umberto Boccioni, Giacomo Balla o Gino Servini.

 

Parallelamente, arte, scultura e architettura, venivano rivoluzionati da percorsi visivi ondulatori, diagonali o spigolosi, quasi a parafrasare il concetto di “parole in libertà” di marinettiana memoria.

 

Ma cosa volevano esprimere i futuristi? Concetto cardine, oltre alla velocità, fu quello di movimento, e per trasmetterlo adoperavano contorni non definiti delle figure, ripetizione del soggetto in diverse ma consequenziali figure, tecniche divisioniste come le vibrazioni delle luce che modula il colore in continui cambiamenti di tinte. 

 

Se il Primo Futurismo si sciolse nei nefasti di trincea della Grande Guerra, la seconda ventata di progresso si ebbe nel 1929 col Manifesto Futurista dell’Areopittura, il cui scopo era rappresentare le raffigurazioni paesaggistiche dall’alto.

 

Guai a credere che il secondo conflitto mondiale fu la pietra tombale del Futurismo. Nel 1984 si registrà una nuova ondata ideologica i cui pilastri di città, velocità, energie rinnovabili, rispondono al nome di Nuovo Futurismo.

 

Elasticità e dinamismo per un’avanguardia novecentesca in contrapposizione alla tradizione e dai risvolti politici non sempre scontati: “tu vedi là una manata di polpacci in tensione presi e buttati in avanti… uno svolgersi vorticoso di muscoli, come una solidificazione della scia atmosferica che lascia una forma di materiali in fuga”. Con queste parole Umberto Boccioni descriverà il suo soggetto proteso in avanti de Forme uniche della continuità nella spazio identificando non solo l’omonima opera ma l’idea stessa di un nuovo movimento artistico, culturale e politico, che avrebbe aperto alla future quanto intriganti Avanguardie artistica, dall’Astrattismo geometrico di Piet Mondrian alla Metafisica di Giorgio De Chirico, passando per il Raggismo dei fidanzati Larionov e Gontacharova.