Quella che si è tenuta a Rovigo, a palazzo Roverella, è una mostra particolare che vede l’incontro di arti visive e musica.
La mostra ha abbracciato un periodo che andava dal Simbolismo alle Avanguardie ed è stato proprio il Simbolismo l’ouverture della mostra, si è analizzato l’impatto che ebbero Beethoven e Richard Wagner, ma anche l’opera lirica italiana e su come questa musica fu d’ispirazione per dipinti, sculture, cartellonistica e scenografie teatrali.
Anche il futurismo ebbe il suo “Manifesto della musica” con le macchine Intona rumori di Luigi Russolo, e ma anche con il Cubismo che prediligeva strumenti musicali come le chitarre.
E, in questa mostra, il viaggio ha avuto modo di spingersi verso il Neoplasticismo, il Surrealismo, il Dadaismo, una lunga storia di relazioni tra e musica e arti visive.
Insomma, questa mostra è stato un percorso inteso, in cui arti che sembrano davvero a sé stanti e lontane, hanno avuto modo di dimostrare il loro legame stretto, forte, sorprendente.
Se la musica parla al cuore di chi ascolta, quando ad ascoltare è l’artista, allora, l’espressione del suo mondo interiore, del suo estro creativo, scivola sulla tela con una forza diversa, con visioni diverse, la musica da forza e corpo alle emozioni, che diventano tele, sculture, vita e, in questo magico processo, dentro questo nodo si colloca la mostra e in questo nodo lo spettatore ha potuto vedere quanto arte visiva e musica siano legate a doppio filo l’una all’altra e di quanto si diano forza.
“Cogito ergo sum“, diceva Cartesio, penso dunque sono, forse però l’artista è molto più che pensiero, dentro l’arte egli lascia un pezzo di se, della propria esistenza, l’arte è l’eredità ai posteri, l’arte è la sua immortalità.
Penso, creo, vivo, dunque sono.