Dopo quarant’anni di assenza, c’è il grande ritorno a Milano di Munch, uno degli artisti espressionisti più celebri di sempre, che con le sue opere riesce a disvelare i sentimenti più reconditi ed oscuri degli esseri umani. La mostra è stata inaugurata il 14 settembre al Palazzo Reale di Milano, presso cui rimarrà fino al 18 febbraio, per poi spostarsi nel Palazzo Bonaparte di Roma.
Il grido interiore
L’esposizione, intitolata Il grido interiore, è stata organizzata dal Comune di Milano e dall’associazione Artemisia in collaborazione con il museo di Oslo dedicato a Munch e l’obiettivo è omaggiare uno dei più grandi artisti espressionisti nell’80° anniversario dalla sua morte.
Munch e la sua produzione
L’artista norvegese viene riproposto in Italia in chiave più ampia. Nella mostra sono presenti più di cento opere che hanno l’obiettivo di presentare l’artista nella sua totalità, cercando esibire anche le sfaccettature meno conosciute. All’interno dell’esposizione vengono proposti anche taccuini, fotografie e filmati, per permettere al pubblico di problematizzare l’artista, troppo spesso incasellato e riconosciuto soltanto per poche opere diventate iconiche. In realtà, per comprendere appieno l’artista e la sua produzione, sarebbe necessario porre uno sguardo più attento sulle litografie e in generale sulla temperie culturale che lo forma.
La ribellione bohème
Munch fa parte della bohème ed infatti è stretto il legame con lo scrittore anarchico Jaeger che, nella sua cella, appende alla parete un quadro dell’artista norvegese. Quest’atmosfera giovanile è molto vicina emotivamente al XXI secolo. Si sviluppava in quegli anni la modernizzazione e si affermava così l’autonomia individuale e con essa la malattia moderna: l’ansia, dettata dall’angoscia della massa e il desiderio di affermazione individuale. Questi contrasti interiori si esplicitano nell’opera Sera sulla via Karl Johan (1892) in cui Munch, attraverso la sua arte, cerca di estrinsecare queste emozioni servendosi dell’utilizzo arbitrario del colore; nel suo taccuino si legge: «Bisogna che la carne prenda forma e che i colori vivano».
L’arte come estrinsecazione dell’angoscia
All’interno della sua produzione l’emozione dominante è lo stato angoscioso. Una delle sue opere più note è Melanconia (1891) in cui il protagonista della scena assume la posizione meditativa, frutto di una tradizione nata nel 1514 con Dürer. Il protagonista appare chiuso dentro i contorni di una massa scura, che rappresenta la sua anima. Tutto ciò che è circostante è soltanto emanazione della sua interiorità, intorno non c’è nient’altro e l’andamento orizzontale esplicita la piattezza ed insieme la totalità di questo sentimento dominante.
È proprio questo sentimento angoscioso che porta Munch a dipingere la sua opera più celebre: L’urlo (1893). L’artista scriveva qualche anno prima nel suo diario: «Non so cos’altro fare se non lasciare che la mia pena invada l’alba e il tramonto. Resto solo con milioni di ricordi che sono come milioni di pugnali che mi lacerano il cuore». Questo è lo stato d’animo che condurrà al celebre dipinto, che da sempre ha reso Munch noto in tutto il mondo. Tuttavia, è necessario promuovere mostre che ci ricordino che l’artista non deve essere identificato soltanto attraverso un’opera resa simbolica dal pubblico, ma si deve guardare l’insieme della sua produzione e l’attualità con cui ancora oggi riesce ad interpretare le emozioni più diffuse.