Quando si parla di arte astratta americana degli anni Quaranta e Cinquanta, il primo nome che salta alla mente è sicuramente quello di Jackson Pollock. Quest’ultimo, infatti, è stato uno dei maggiori esponenti di quella corrente artistica definita espressionismo astratto o anche action painting. Ma qual è la particolarità di questa forma di arte? Scopriamolo insieme.
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Cos’è l’action painting?
Si tratta di uno stile di pittura in cui il colore viene letteralmente lanciato sulla tela. La traduzione di action painting è infatti “pittura d’azione“, una chiara dichiarazione dei propri intenti.
Questo particolare stile si diffuse fra gli anni Quaranta e Sessanta, mentre il termine fu coniato solo nel 1952 dal critico d’arte statunitense Harold Rosenberg. Le opere realizzate tramite l’action painting assumono un significato quasi metaforico: il colore, infatti, non viene applicato con attenzione e con parsimonia, bensì si va a posizionare sulla tela in maniera del tutto casuale, determinando la rappresentazione di figure, per l’appunto, astratte.
Il drip painting di Jackson Pollock
Il pittore statunitense si inserisce all’interno di questa corrente artistica proprio per la particolarità della tecnica artistica adottata: il drip painting.
Letteralmente, il termine deriva dal verbo inglese to drip che significa “colare“, “sgocciolare“. Questa tecnica, infatti, consiste nel far cadere il colore direttamente dal tubo o dal barattolo sulla tela, in maniera del tutto fortuita.
Jackson Pollock era solito realizzare opere di grandi dimensioni, dipingendo in piedi e con la tela disposta direttamente sul pavimento. L’idea di abolire il cavalletto rispondeva essenzialmente a due esigenze diverse: in primis, l’artista voleva muoversi attorno alla tela in maniera più disinvolta e agevole; in secondo luogo, voleva sentirsi parte integrante dell’opera che stava realizzando, come spiegò in diverse occasioni: “Sul pavimento sono a mio agio; così mi sento più vicino al dipinto, lo posso attraversare, mi ci posso avvicinare da tutti i lati ed entrarci dentro, letteralmente”.
Questa sua caratteristica gli valse il soprannome di Jack the Dripper, con un chiaro riferimento a Jack lo squartatore e al fatto che le sue tele, specialmente quelle dove il color rosso è più intenso, ricordino quasi la scena di un delitto.
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Jackson Pollock fra arte e psicoanalisi
L’arte di Jackson Pollock si inserisce in un contesto storico-culturale in cui la psicoanalisi iniziava a farsi strada. Le sue opere, infatti, sono lo specchio del suo tormento interiore e della sua vita tutt’altro che semplice: ogni sua tela possiede una carica angosciosa e drammatica che lo rende riconoscibile a colpo d’occhio. Lo stesso artista dichiarò di essere stato profondamente influenzato dagli studi sulla psicoanalisi: “Tutti noi siamo influenzati da Freud, mi pare. Io sono stato a lungo junghiano…La pittura è uno stato dell’essere…La pittura è una scoperta del sé. Ogni buon artista dipinge ciò che è”.
Da bambina leggevo i fumetti di Dylan Dog, poi – senza nemmeno accorgermene – sono entrata nel vortice dei grandi classici e non ne sono più uscita. Leggo in continuazione, in qualsiasi momento, e se non leggo scrivo. Scrivo per riempire gli spazi bianchi e vuoti della mente, ma anche perché è l’unica cosa che mi fa sentire viva. Cosa voglio diventare da grande? Facile: una giornalista.