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Nelle sue campagne belliche Napoleone Bonaparte si adoperò perché molti capolavori d’arte fossero trafugati e portati a Parigi. Il suo intento era quello di creare un grande “museo universale” (Il Musée Napoléon) da collocare all’interno del palazzo del Louvre nel quale disporre il maggior numero di opere portate via dei vari paesi d’Europa conquistati e nelle spedizioni in Africa.
Non è possibile stabilire il numero esatto tra dipinti, sculture, arazzi e manoscritti sottratti nell’enfasi napoleonica e nemmeno quante andarono distrutte. Sappiamo, però, che in Italia in particolare furono 506 le opere ufficialmente registrate come bottino di guerra e che ancora oggi 248 di queste restano in mani francesi e 9 sono andate disperse. Era balenato anche il progetto, per fortuna mai attuato, di staccare gli affreschi di Raffaello nelle sale del Vaticano.
Un rimpatrio quasi clandestino
Dopo la disfatta dell’imperatore e il successivo congresso di Vienna del 1815 e grazie all’impegno di Antonio Canova, inviato dal papa Pio VII quale mediatore, alcune delle opere furono restituite. Tornarono di notte, in silenzio per non coinvolgere i canali ufficiali, cosa che avrebbe allungato i tempi in pastoie burocratiche.
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Tornarono così al loro posto anche i quattro cavalli della Basilica di San Marco a Venezia che Napoleone aveva posto sull’Arco di Trionfo del Carrousel a Parigi, tornarono il Laocoonte, l’Apollo del Belvedere, la Venere Capitolina, opere di Tiziano, Guercino, Guido Reni, Hayez, Barocci, Veronese, dello stesso Canova e di tanti altri artisti.
Quali le opere che non sono tornate?
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Sono svariate le ragioni per le quali molte delle opere sottratte non sono più tornate in Italia. Il Granducato di Toscana, per esempio, non ha voluto reclamare l’Ascensione di Cristo di Pietro Perugino, Eterno benedicente con cherubini e angeli sempre del Perugino e il suo Sposalizio della Vergine, le Stigmate di S Francesco di Giotto, il Trionfo di Giobbe di Guido Reni, la Maestà di Cimabue e la Pala Barbadori di Filippino Lippi, portati via dalla Toscana e dall’Umbria. Mente per alcune tele che erano state collocate nelle chiese della provincia francese, il papato ha reputato di lasciarle dov’erano per non turbare lo spirito di devozione dei fedeli.
Dopo aver seguito studi artistici si interessa appassionatamente ad approfondire i meccanismi e l’evolversi della storia dell’arte contemporanea.
Proprio in qualità di critico d’arte e corrispondente, negli anni ’80 e ’90, ha firmato saggi e recensioni per alcuni dei maggiori periodici del settore, tra i quali: Terzoocchio delle edizioni Bora di Bologna, Flash Art di Milano Julier di Trieste ed il genovese ExArte .
Inoltre affiancherà attivamente come consulente la famosa galleria d’Arte avanguardistica Fluxia durante tutto il periodo della sua esistenza.
Ha partecipato all’organizzazione di numerosi eventi, tra i quali l’anniversario del centenario dell’Istituto d’Arte di Chiavari e la commemorazione del trentennale della morte del poeta Camillo Sbarbaro a S. Margherita L.
Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo: “La strana faccenda di via Beatrice D’Este”, un giallo fantasioso e “intimista”.
Nel 2018 pubblica il fantasy storico “Tiwanaku La Leggenda” ispirato alla storia ed alle leggende delle Ande pre-incaiche.
Attualmente collabora con alcuni blog e riviste on-line come “Chili di libri, “Accademia della scrittura”,
“Emozioni imperfette”, “L’artefatto”,” Read il magazine” e “Hermes Magazine” occupandosi ancora di critica d’arte e di recensioni letterarie.