A tu per tu con Claudio Metallo, scrittore e documentarista calabrese

Fonte foto: Youtube

Ci sono storie che non si può fare a meno di raccontare, e Claudio Metallo lo sa bene. Scrittore e documentarista calabrese – precisamente di Campora San Giovanni (CS), ma napoletano d’azione, Claudio Metallo è un abile osservatore di ciò che lo circonda, ma anche e soprattutto un narratore instancabile delle contraddizioni del suo tempo e del suo paese. Nel 2013, per l’impegno mostrato nel raccontare della sua terra – la Calabria positiva, la Calabria che resiste – viene insignito del prestigioso Premio Gianluca Congiusta.

Nel 2014 inizia la sua carriera di scrittore con la pubblicazione di Come una foglia al vento – Cocaine Bugs, edito da CasaSirio Editore, che sancisce l’ingresso della sua penna caleidoscopica – aggettivo che le è stato attribuito in più di un’occasione –  nel vasto mondo letterario. Il saldo sodalizio con la casa editrice romana prosegue negli anni, con altre tre pubblicazioni: Vangelo di malavita(2017), Tutti sono un numero(2019) e Comandare è meglio che fottere (2021).

Claudio Metallo è uno scrittore che non ha paura di sporcarsi le mani, di indagare a fondo e di intingere la sua penna nelle situazioni più disparate per restituire un ritratto assolutamente tangibile del nostro paese. Tutte le sue opere, infatti, sono frutto di un intenso lavoro di ricerca che lo vede impegnato in prima persona. Claudio Metallo, insomma, è uno che ci mette la faccia, letteralmente. Basta guardare la copertina della sua ultima pubblicazione per capirlo!

Claudio Metallo

Fonte foto: casasirio.com

L’intervista

Abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere direttamente con Claudio e l’intervista che segue è frutto del nostro confronto.

Nella vita, oltre a essere uno scrittore, sei anche documentarista e videomaker. Quando e come hai capito di voler iniziare a mettere nero su bianco le storie che volevi raccontare, e quindi di volerti buttare sulla scrittura?

“Fare il videomaker è il mio lavoro e prevede anche una fase di scrittura, quindi ho sempre lavorato su questo aspetto, dovendo presentare in forma scritta a chi finanziava il progetto cosa avrei fatto. Succede anche per le marchette più indegne! Io, in realtà, realizzo soprattutto documentari di denuncia o con tematiche sociali, però cerco sempre di raccontare l’aspetto positivo, di ribellione, di presa di coscienza da parte di chi subisce un’ingiustizia.

Quando ho girato “L’avvelenata-cronaca di una deriva” sulla questione delle navi dei veleni, ho raccontato delle navi affondate nel Mediterraneo pieni di rifiuti, ma il filo conduttore del film è la grande manifestazione di Amantea (Cosenza) con 40.000 calabresi che chiedevano verità, giustizia e le bonifiche.

Quando ho diretto “Un pagamu – la tassa sulla paura sulla questione del pizzo a Lamezia Terme, ho voluto raccontare la storia dei commercianti lametini che si sono ribellati (qui alcuni dei risultati dieci anni dopo). In quell’occasione ho incontrato Rocco Mangiardi che è stato il primo imprenditore di Lamezia a denunciare i suoi estorsori in tribunale, e mi ha concesso la sua prima intervista dopo essere stato messo sotto scorta. Con lui abbiamo fatto degli  incontri nelle scuole e lui stesso ha portato in giro il documentario in maniera autonoma. Quando hai per le mani queste storie, hai un obbligo nei loro confronti che è quello di restituirle in maniera più fedele possibile. Questo implica una forte limitazione creativa che io accetto volentieri. Con la scrittura, invece, riesco a spaziare di più. Inoltre con un documentario hai una serie di limitazioni che ti possono derivare dal budget e anche dalle informazioni e dalle fonti che riesci a recuperare.”

I tuoi lavori sono ricchi di vicende reali, come il primo sciopero femminile avvenuto ad Amantea, in Calabria, sul finire degli anni ’40, narrato nel sesto racconto di “Comandare è meglio che fottere”, intitolato “Puru ca simu fimmine”. Come avviene la fase preparatoria alla scrittura e quanto il tuo lavoro di documentarista influisce in questo senso?

“’Puru ca’ simu fimmine’ nasce da una storia reale e dalla mia volontà di raccontarla attraverso un  documentario che, per varie ragioni, non sono riuscito a realizzare. Il lavoro che faccio prima di mettermi a scrivere è simile a quello per preparare un documentario, anzi credo che sia ancora più ampio, visto che in un romanzo posso incastrare molte più storie, situazioni e momenti che i personaggi vivono. Raccolgo tantissimo materiale: leggo articoli che riguardano il tema che ho scelto o che semplicemente mi suggestionano, studio libri (dal saggio, alla fiction, al romanzo storico e altro), guardo film e documentari per capire cos’è stato fatto rispetto alla mia idea. Tutto questo materiale diventa quaderni interi di appunti, scene intere scritte a mano e idee buone o meno. Quando sono convinto di aver raggiunto la quantità di materiale giusta per iniziare a scrivere la storia, stilo una scaletta dov’è già tutto pronto: ho il primo atto, che è quello in cui si presentano i personaggi; il secondo, dove emerge un problema; ed il terzo che è la conclusione. Prima di mettere davanti al foglio bianco, ho tutta la storia che mi serve per buttare giù una prima stesura dignitosa. Da qui in poi posso lavorare sul delineare meglio i personaggi, inserirne di nuovi e lavorare sui nomi, che è una cosa che mi diverte molto.”

La criminalità, la politica e il calcio sono tre leitmotiv ricorrenti in tutte le tue opere – “Come una foglia al vento – Cocaine Bugs” (2014), “Vangelo di malavita” (2017), “Tutti sono un numero” (2019) e “Comandare è meglio che fottere” (2021). Quale di questi è l’argomento a cui ti senti più legato e a cui non rinunceresti nei tuoi prossimi lavori?

“Il calcio è una delle mie grandi passioni, pensa che tifo per il Cosenza che ci da più sofferenze che gioie e che non è mai salita in serie A, anche se questo conta poco per un tifoso. Probabilmente, però, non riuscirei mai a rinunciare all’aspetto politico delle storie, inteso sia come militante (o engagé, se preferisci), ma anche come denuncia. Nel lavoro di documentarista ho cercato sempre di raccontare storie positive partendo da problemi reali (il pizzo, le navi dei veleni, l’impatto ambientale del TAV), però non può mancare la lettura della realtà e il riconoscimento dei problemi. Da documentarista e da scrittore, io non riesco a trovare soluzioni, forse le posso suggerire attraverso le persone che intervisto, ma è mio compito scoprire, osservare e decriptare alcune situazioni. Ad esempio, la criminalità organizzata per come ci viene raccontata da anni è diventata una pentola per tanti coperchi: c’è il problema della droga è colpa loro, ma la vera questione è legalizzazione. C’è il problema dei rifiuti, ma il vero punto è ridurre la produzione di materiali inquinanti.”

Con “Comandare è meglio che fottere” ti sei misurato per la prima volta con il racconto, concependo un’antologia che ne comprende ben nove. Hai incontrato maggiori difficoltà rispetto alla stesura dei tuoi precedenti romanzi?

“Sicuramente l’approccio alla scrittura del racconto è notevolmente diverso, ma non ho incontrato grandi difficoltà. Anzi, alcuni dei racconti che sono raccolti nell’antologia non credo sarebbe potuti diventare dei romanzi ben costruiti. Molte delle storie vengono da suggestioni, viaggi, fattarielli ascoltati davanti al fuoco con un bicchiere di vino che mi si sono stampati in testa e che non volevo perdere. In qualche maniera per non farli sparire li dovevo scrivere.“Bole e Folkler tifano Est” l’ho scritto dopo una serie i viaggi nell’ex DDR, ad esempio. Così sembra tutto molto poetico ma in realtà sono molto metodico nella scrittura.”

A tal proposito, nell’introduzione all’opera sopracitata, hai riportato una particolare massima dello scrittore Julio Cortázar: “Con un romanzo si può vincere ai punti, con un racconto solo per KO”. Cosa intendeva Cortázar e perché condividi questo principio?

“Cortazar era un grande appassionato di boxe, da qui la sua metafora. Con un romanzo puoi vincere ai punti perché hai tutto il tempo per far entrare il lettore nella storia, fargli conoscere i personaggi e farlo entrare nel mondo che hai creato. Nel racconto non hai il tempo, hai poche pagine. Devi subito affabulare il lettore e spendere ogni riga per guadagnarti la sua fiducia e farlo passare alla pagina successiva. Questo succede anche nei romanzi, ma la pazienza di chi legge e diversa e il respiro del tuo narrare dev’essere più concreto. Banalmente, una sfida impervia per uno che scrive un racconto è far entrare, in poche pagine, i personaggi nella stessa lunghezza d’onda di chi li osserva dal foglio.”

Come abbiamo detto, ogni racconto di “Comandare è meglio che fottere” è quasi totalmente incentrato sul calcio. Cosa diresti, quindi, a un potenziale lettore indifferente a tale argomento per convincerlo a leggere il tuo lavoro?

“Il calcio nei miei racconti non è l’elemento dominante, lo utilizzo per raccontare delle vicende e per sbrogliare delle situazioni, a parte “Il profeta del gol” e “La triste storia di Aguirre Suarez Scocco” che è un omaggio a uno dei miei scrittori preferiti cioè Osvaldo Soriano. Il gioco del calcio penso sia uno dei fenomeni sociali più importanti del ‘900, questo è un dato oggettivo che ci piaccia o no. La dittatura argentina, una delle più sanguinarie che la storia ricordi, si è affermata anche perché la Fifa non gli tolse il mondiale del 1978, il così detto ‘Mondiale della vergogna’. Oppure, l’incredibile vicenda della ‘Democracia Corinthiana’, quella strana forma di democrazia nello spogliatoio del Corinthians che vinse il campionato brasiliano nel 1982 e ’83, fu un grande smacco per la dittatura brasiliana dell’epoca. Potrei citare tanti esempi in cui il football ha influito sulla storia di quei paesi in cui è molto di più di un gioco.”

Sempre nell’introduzione, scrivi che in “Comandare è meglio che fottere” ci sono – e cito testualmente – “quasi solo robe inedite, di cui una in particolare che considero tra le cose più belle che abbia scritto, ma non vi dirò quale”. I lettori di Hermes Magazine sono curiosi, quindi ci chiedevamo se potessi farci un piccolo spoiler o se dovremo continuare a navigare nella curiosità.

“Non lo saprete mai! Però potete sceglierne uno vostro o se volete, provare ad indovinare.”

Ultima domanda, chiudiamo con una curiosità. Nei ringraziamenti hai espresso la tua riconoscenza a chi ti è stato vicino, mentre hai mandato una “sonora pernacchia” a chi avrebbe potuto sostenerti, e invece non l’ha fatto. Pensi di esserti preso le tue rivincite contro chi non ha creduto in te?

“No, nessun senso di rivalsa. Anzi, per fortuna ho un sacco di gente che ha creduto nel mio lavoro prima di documentarista e poi di scrittore, altrimenti non sarei qui a rispondere alle tue domande.”