Pablo Neruda, all’anagrafe Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, fu un poeta, diplomatico e politico cileno che nacque a Parral il 12 luglio 1904. Mi piace ricordare una delle sue frasi per celebrare questa ricorrenza:
“La nascita non è mai sicura come la morte. E questa la ragione per cui nascere non basta. È per rinascere che siamo nati.”
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Le origini
La scelta dello pseudonimo con il quale è ricordato nel mondo intero, e che gli fu riconosciuto anche legalmente, fu fatta per onorare la memoria dello scrittore, poeta e giornalista ceco Jan Neruda. L’interesse per la scrittura e la letteratura non era ben visto dal padre ma, per fortuna, Pablo ebbe il sostegno della sua insegnante Gabriela Mistral, la poetessa vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1945. Neruda pubblicò ad appena tredici anni un articolo dal titolo Entusiasmo y perseverancia sul quotidiano locale La Mañana. Iniziò, però, ad utilizzare lo pseudonimo Pablo Neruda a sedici anni, nel 1920, per poter pubblicare le sue poesie senza timore di essere scoperto dal padre.
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Le prime opere
Crepusculario, il suo primo volume in versi, uscì nel 1923 e fu seguito l’anno successivo da Veinte poemas de amor y una canción desesperada, una raccolta di poesie d’amore di stile modernista ed erotico. Pur se alcuni editori rifiutarono questo suo stile Neruda ebbe molto successo all’estero con questi due volumi che, tutt’oggi, sono tra le sue opere più apprezzate.
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Non si vive di sola poesia
Neruda nel 1927 fu costretto ad accettare un incarico da console onorario in Birmania per motivi strettamente economici. Ebbe anche altri incarichi diplomatici, tra i quali a Buenos Aires e Barcellona per poi divenire Console a Madrid, sostituendo la sua ex insegnante Gabriela Mistral. Non smise però mai di scrivere. Contrasse matrimonio con Marietje Antonia Hagenaar, detta Maruca, sull’isola di Giava. Con lei ebbe una figlia, Malva Marina Trinidad, che nacque a Madrid affetta da idroencefalite che morì a nove anni. La frustrazione dovuta all’incurabilità della malattia della loro unica figlia portò a dissapori che crearono una frattura insanabile nella coppia. Il poeta si avvicinò a una donna molto più grande di lui, Delia del Carril, che diverrà la sua seconda moglie.
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La svolta comunista
Fu proprio Delia del Carril a indurre la svolta di Neruda da anarchico-individualista verso gli ideali marxisti. Svolta che fu definitivamente siglata dopo l’uccisione da parte delle forze armate del generale Franco di Federico Garcia Lorca del quale Neruda era divenuto amico. Dei sentimenti che provava in questi anni si sente ampiamente l’influenza nella raccolta di poesie España en el corazón. Come tutti i comunisti di quegli anni ebbe una forte ammirazione per l’Unione Sovietica e per Stalin al quale, nel 1953, dedicò una composizione in occasione della morte. Ma quando poi apprese del culto della personalità di Stalin e delle Purghe staliniane non esitò a cambiare idea facendo autocritica e rammaricandosi per aver contribuito a creare una immagine falsa di quel leader.
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Poeta vs politico
Nel 1945 Neruda divenne senatore nelle liste del Partito Comunista Cileno. Guidò la campagna elettorale che vide vincente la Coalizione Democratica con nomina di González Videla a presidente. Ebbe però l’ennesima delusione politica in quanto Videla una volta al potere non esitò a tradire le promesse fatte in campagna elettorale. Quando Videla ordinò la violenta repressione dei minatori in sciopero Neruda tenne il discorso in Senato conosciuto come Yo acuso nel quale leggeva i nomi di tutti i minatori imprigionati in carceri militari e campi di concentramento. In quel modo prese definitivamente le distanze dal governo autoritario di Videla.
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L’esilio
Videla spiccò un mandato d’arresto contro Neruda che fuggì per sottrarvisi. Inoltre fu dichiarato fuorilegge il Partito Comunista Cileno e decaddero le cariche di tutti gli iscritti allo stesso. Dell’anno durante il quale rimase lontano dal suo paese mi piace ricordare quando riuscì, con l’aiuto di alcuni amici tra i quali Pablo Picasso, a presenziare al Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace a Parigi. La sua presenza a quel consesso sbugiardava il governo cileno che aveva continuato ad affermare che il poeta non era mai uscito dal Paese. Nel 1952 visse in Italia tra l’Isola di Capri e Sant’Angelo d’Ischia. Di quel periodo è narrato nel film Il Postino di Massimo Troisi liberamente tratto dall’omonima opera di Neruda.
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Il ritorno
Nel 1953 Neruda torna in patria. Videla è caduto e lui era stato richiamato dal candidato alla presidenza Allende. Qui ritrova la moglie Delia del Carril alla quale chiede il divorzo per poter sposare Matilda Urrutia. La fedeltà agli ideali comunisti che gli aveva trasmesso Delia sopravviverà al loro matrimonio e lo porterà a prendere posizione contro gli Stati Uniti durante la crisi dei missili a Cuba e la guerra del Vietnam. In seguito a questo fu molto difficile per Neruda partecipare nel 1966 alla Conferenza Internazionale dell’Associazione degli Scrittori a New York. Tornando a casa fece sosta in Perù dove fu accolto con molti onori. Questo però indispettì Cuba che interpretò quella visita come un tradimento della causa. Di questo Neruda fu molto dispiaciuto e ne scrisse nella sua autobiografia Confesso che ho vissuto.
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Il Nobel
Nel 1969 si ritira dalla competizione per la carica di Presidente delle Repubblica Cilena per sostenere Allende. Il 21 ottobre 1971 riceve il Nobel per la Letteratura, terzo autore dell’America Latina dopo Gabriela Mistral nel 1945 e Miguel Ángel Asturias nel 1967. Sono gli anni delle ultime pubblicazioni: La espada encendida e Las piedras del cielo. Nel 1973 assistette al colpo di stato del generale Pinochet e all’assassinio di Allende. Ai militari che andavano a perquisirgli casa disse:
«Guardatevi in giro, c’è una sola forma di pericolo per voi qui: la poesia»
Morì il 23 settembre 1973 nella clinica Santa Maria di Santiago ufficialmente per il tumore alla prostata ma, secondo la testimonianza del suo autista, per mano di un sicario di Pinochet. Scrisse fino all’ultimo sempre sostenendo le sue idee politiche.
Il suo funerale divenne, nonostante la presenza dei militari a mitra spianati, un momento importante di opposizione alla dittatura, come testimonia un filmato amatoriale.
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Accuse postume
Tutti noi conosciamo poesie e frasi di Neruda molto belle e significative. Ma c’è un passaggio nella sua autobiografia in cui il poeta descrive quello che, insindacabilmente, deve essere definito uno stupro da lui compiuto ben consapevole della mancanza di consenso della donna:
«una mattina, ho deciso di andare fino in fondo, l’ho afferrata con forza per il polso e l’ho guardata in faccia. Non c’era lingua che potessi parlarle. Si è lasciata guidare da me senza sorridere e presto è rimasta nuda sul mio letto. […] L’incontro è stato come quello di un uomo con una statua. Lei ha tenuto i suoi occhi spalancati per tutto il tempo, completamente inerte. […] Aveva ragione ad avere disprezzo di me».
Gruppi femministi sostenuti dal movimento #MeToo e Antifemminicidio sostengono che non si dovrebbe esaltare chi ha commesso un atto tanto abietto. Ignorare il crimine da lui compiuto significherebbe sminuire ancora il valore della vita delle donne.
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Disaccordo sulla sua memoria
Isabelle Allende, scrittrice e attivista, ha affermato:
“come molte giovani femministe in Cile, sono disgustata da alcuni aspetti della vita di Neruda [ma] il Canto General è ancora un capolavoro”
Mario Vargas Llosa, scrittore e politico ispano-peruviano, sostiene, invece su El Pai:
«attualmente il più risoluto nemico della letteratura, che pretende di depurarla dal maschilismo, da molteplici pregiudizi e immoralità, è il femminismo che appoggia apertamente questa offensiva antiletteraria e anticulturale […] è ovvio che, con questo tipo di approccio a un’opera letteraria, non ci sia romanzo della letteratura occidentale che scampi all’incenerimento».
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Credo che un conto sia descrivere un crimine, un conto commetterlo e poi scriverne. Credo siano due cose diametralmente opposte. Possiamo ammirare e stimare uno stupratore? Io non credo. Possiamo rimanere incantati leggendo delle poesie? Sicuramente, almeno fino a quando non sappiamo di cosa era capace chi le ha scritte o, a quel punto, se riusciamo a tenere su piani diversi la produzione letteraria e la persona che reggeva la penna.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.