“La Storia, si capisce, è tutta un’oscenità fin dal principio.”
La letteratura italiana del Novecento pullula di romanzi – definiti proprio per la loro importanza classici – permeati di un valore storico non indifferente e che formano, ancora oggi, la coscienza di molti: difficile dimenticare i romanzi di Beppe Fenoglio, incentrati sulla figura dei partigiani, o quelli di Italo Calvino – su tutti Il sentiero dei nidi di ragno (1947), o anche quelli di Elio Vittorini. La lista sarebbe lunga, ma oggi ci soffermiamo su La Storia di Elsa Morante (1974), uno dei suoi romanzi più amati e discussi.
Innanzitutto, analizziamo il titolo stesso: La Storia, scritto con la S maiuscola, proprio perché è la storia dei grandi eventi, del potere che manipola la storia individuale, la storia della gente comune, quella dimenticata e ai margini.
Lo scrittore e traduttore italiano Giorgio Van Straten ha voluto sottolineare questo fatto:
“Il libro di Elsa Morante non a caso si chiama ‘La Storia‘ con la S maiuscola e subito sotto questo titolo c’è stampato sulla copertina voluto da lei una frase ‘uno scandalo che dura da diecimila anni’. Qual è lo scandalo? Lo scandalo e il potere e il potere che distrugge gli uomini, gli umili, la gran massa delle persone…“
Fonte foto: sapere.it
La Storia
Considerata una delle sue opere più celebri, insieme al primo lavoro in prosa Menzogna e sortilegio (1948) e al romanzo di formazione L’isola di Arturo (1957), La Storia – come è intuibile dal titolo stesso – è un romanzo storico che affronta, con la solita penna analitica e delicata della scrittrice romana, tematiche importanti come la guerra, la violenza e la dimensione dell’infanzia nel periodo bellico. Uscito dopo un periodo di gestazione durato oltre tre anni, la scrittrice chiese a gran voce che fosse dato alle stampe in edizione tascabile, a basso costo e rilegato in brossura. Fu pubblicato, infatti, dalla casa editrice Einaudi (con cui Morante aveva avviato un sodalizio durato tutta la vita) nella collana Gli struzzi.
La trama è abbastanza complessa: il libro narra le vicende di Ida Ramundo, una maestra ebrea di trentasette anni, vedova e madre di un figlio, Nino. La donna, in una sera di gennaio 1941 – in piena guerra e sullo sfondo di una Roma devastata – viene violentata da un soldato tedesco, rimanendo incinta di un figlio, Useppe. La Morante, con la sua sensibilità innata verso tematiche dal duro impatto emotivo, ha saputo cogliere un dramma privato – la violenza, appunto, di una donna ebrea – e combinarlo con un dramma universale, una violenza perpetrata ai danni dell’umanità.
Un’epopea collettiva, dunque, vissuta e descritta attraverso gli occhi di umili personaggi manovrati dai capricci del potere. Ida è una donna come tante, il suo è un dolore come tanti, ma si fa carico – ogni giorno, attraverso le vicende della sua vita – di un dramma che è più grande di lei.
Lo stile
Quella di Morante è una fra le tante voci letterarie del Novecento italiano. Eppure, la sua riesce a narrare uno spaccato della storia dell’umanità con una sensibilità innata che emerge in tutte le sue opere. La scelta di utilizzare la tecnica del narratore onnisciente – la voce narrante conosce tutto della storia, può prevedere il passato il presente e il futuro, sa tutto ciò che pensano i personaggi e perché agiscono in quel modo – fa entrare ancora più in empatia con loro, facendo familiarizzare il lettore con il loro dramma, arrivando a viverlo sulla propria pelle.
La scelta di pubblicare un’edizione economica, che le ha portato non poche critiche – riflette appeno il senso dell’opera: raccontare degli sconfitti agli sconfitti, degli ultimi agli ultimi.
Non è una lettura semplice e da compiere a cuor leggero. Ma è una lettura necessaria, per non dimenticare e per evitare che certi fatti possano ripetersi in futuro.
Da bambina leggevo i fumetti di Dylan Dog, poi – senza nemmeno accorgermene – sono entrata nel vortice dei grandi classici e non ne sono più uscita. Leggo in continuazione, in qualsiasi momento, e se non leggo scrivo. Scrivo per riempire gli spazi bianchi e vuoti della mente, ma anche perché è l’unica cosa che mi fa sentire viva. Cosa voglio diventare da grande? Facile: una giornalista.