Fonte foto: Matte da leggere
Se penso ai classici, mi viene subito in mente un aggettivo: indenne. Si tratta di quelle opere che hanno oltrepassato un periodo temporale più o meno lungo – anni, decenni, secoli, addirittura millenni – arrivando ai giorni nostri. Indenni, appunto. È un po’ come se avessero superato una sorta di selezione naturale, grazie a delle caratteristiche che li hanno resi idonei a essere, ancora oggi, presenti sugli scaffali delle librerie o sui nostri comodini. Eppure, nel nostro sistema economico, fatto di marketing, di mode, di classifiche di vendite da scalare e da cui essere estromessi in poco tempo, i classici dovrebbero avere vita breve. Invece sopravvivono, anzi, godono di ottima salute. Come mai queste letture non passano mai di moda? Perché in questa società del “usa e getta” continuano a essere fondamentali per la nostra formazione? Che cosa rende immortali Cent’anni di solitudine, La Divina Commedia, Delitto e castigo, I promessi sposi, Orgoglio e pregiudizio o Don Chisciotte?
Fanno parte del nostro DNA culturale
Rappresentano, infatti, le radici più profonde della nostra civiltà, è il nostro patrimonio letterario. La lettura dei classici ci dice chi siamo perché pensiamo in un determinato modo, ci aiuta a capire il motivo di certi nostri comportamenti, o perché proviamo determinati sentimenti o emozioni; in poche parole, ci svela come siamo stati forgiati.
Sono sempre attuali
Le storie narrate nei classici sono facilmente riconducibili al nostro vissuto attuale; le osteggiate storie d’amore di Paolo e Francesca o di Renzo e Lucia, il desiderio di evasione da una realtà insoddisfacente di Madame Bovary o la saga della famiglia Buendia in Cent’anni di solitudine ci coinvolgono facilmente perché possono essere riconducibili a qualcosa che è successo a noi o a qualcuno che conosciamo.
Un filo diretto con la storia
Ci permettono di conoscere o di ricordare avvenimenti, ma anche usi e costumi di epoche passate; certo, anche adesso vengono pubblicati romanzi storici, però episodi raccontati da scrittori immersi nel periodo in cui è ambientato un romanzo hanno decisamente quel qualcosa in più che coinvolge il lettore. Leggendo storie scritte nel passato, possiamo capire meglio il nostro presente.
Ci mettono a contatto con le origini della nostra lingua
Succede spesso di ritrovare in un classico dei modi di dire che usiamo nelle conversazioni. Non vi capita mai di dire: ”Ah, povero illuso, vuole combattere contro i mulini a vento”, o di sentir dire: ”L’essenziale è invisibile agli occhi”, oppure: ”Parla come un azzeccagarbugli”? Ebbene, quelle frasi o quei modi di dire che si possono ritrovare in Don Chisciotte, ne Il piccolo principe o ne I promessi sposi, sono diventati parte integrante del nostro lessico quotidiano.
A volte, quasi senza accorgercene, diciamo: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle”, o: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, “quel ramo del lago di Como”, oppure: “Le sirene incantatrici di Ulisse”, frasi che abbiamo incontrato nei classici, che abbiamo riposto nelle pieghe della nostra memoria e che tiriamo fuori al momento opportuno, magari per far bella figura con amici o per sedurre. Un automatismo che deriva da testi che hanno fatto la storia della letteratura.
Si possono sostituire agli insegnanti?
Ni. Più che altro hanno la tendenza a mettersi al fianco del lettore, lo prendono per mano e lo accompagnano in un percorso che serve a confermargli una visione, un’interpretazione di ciò che accade intorno a lui. Se siete ancora assillati dalla domanda sul perché i classici sono importanti, mi affido alle parole di Italo Calvino che diceva:
“I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).”
A questa aggiungo:
“Una biblioteca senza i classici è come un palazzo senza fondamenta: sono alla base della nostra cultura, si inizia dai classici e si arriva dove si vuole.“
Chi l’ha detta? Non lo so, ma è una frase che mi piace tantissimo. Fate buone letture, mi raccomando!
Nato in un torrido ferragosto del 1968 a Milano, dove vive tutt’ora.
Si considera vecchio fuori, ma giovane dentro: in realtà è vecchio anche dentro.
La scrittura è per lui un piacere più che una passione, dal momento che – sua opinione – la passione stessa genera sofferenza e lui, quando scrive, non soffre mai, al massimo urla qualche imprecazione davanti al foglio bianco.
Lettore appassionato di generi diversi, come il noir, il thriller, il romanzo umoristico e quello storico, adora Calvino, stravede per Camilleri e si lascia trascinare volentieri dalle storie di Stephen King e di Ken Follett.
Appassionato di musica, ascolta di tutto: dal rock al blues, dal funky al jazz, dalla classica al rap, convinto assertore della musica senza barriere.
Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo, dal titolo “L’occasione.”, genere umoristico.
Ha detto di lui Roberto Saviano:”Non so chi sia”.