Il diario di pietra: Nof4 ci racconta i fantasmi di Volterra

Ne siamo consapevoli, soprattutto per chi ama il genere: i manicomi, ad oggi, oltre che una delle testimonianze più forti della cattiveria umana e del poco rispetto verso le patologie psichiche, sono luoghi di grande interesse a livello culturale. Essi ci raccontano di come fortunatamente la psicologia si sia data una spinta migliore e più inclusiva verso le persone che all’epoca, per tanti motivi, venivano costretti a vivere una non vita, nei padiglioni di questi “ospedali psichiatrici”. I Manicomi ce li ha raccontati Cristicchi con la sua meravigliosa canzone vincitrice del Festival di Sanremo Ti regalerò una rosa e il suo protaginista Antonio; ce li narrano i ragazzi che spesso, attraverso vere e proprie spedizioni urbex, vanno alla ricerca di quello che è stato il passato; oppure la grande poetessa Alda Merini; e ve lo vogliamo raccontare pure noi di Hermes Magazine, perché riguarda chiunque sia appassionato di libri che vanno oltre all’essere solamente dei libri, e che arrivano a toccare addirittura l’arte, la figura di NOF4 e della sua storia nel padiglione Ferri, che unito al padiglione Maragliano (dedicato ai malati di Tubercolosi) è quasi totalmente inglobato da una fitta rete vegetativa, quasi a proteggere, con una carezza fatta di natura tutto ciò che è stato fatto tra quelle mura prima dell’avvento della legge Basaglia. Chi ci finiva nel padiglione Ferri?

Coloro che ha avevano avuto “qualche piccolo guaiocon la giustizia. Badate, non gravi crimini, ma bastava un piccolo insulto ad una persona che svolgeva il lavoro di carabiniere o polizia per guadagnarsi un biglietto di sola andata per il Ferri. (In poche parole, di questi tempi tutti dovremmo essere ricoverati al Ferri di Volterra). Fu proprio così che Fernando Oreste Nannetti, il famoso NOF4 (Perché nei manicomi eri un numero e delle iniziali, niente di più) venne ricoverato prima a Roma e poi, per sua grande sfortuna, spostato presso questo padiglione del Manicomio di Volterra.

Fernando (perché è giusto che venga chiamato con il suo nome) viene universalmente riconosciuto come uno dei maggiori esponenti di Art Brut. Un’arte prodotta senza la consapevolezza mentale di stare essenzialmente facendo arte. La sua unica opera più importante è venuta alla luce proprio fra le mura dell’ex manicomio di Volterra, o meglio, sta proprio impressa sulle sue mura con le fibbie e le cinghie delle tute di contenimento. Un murales di 180 metri che decorava il cortile adiacente al padiglione Ferri.

Introverso e taciturno, al Ferri Nannetti stringe un rapporto di amicizia con lo stesso muro che lo divide dalla libertà al di fuori, ma allo stesso tempo diventa spazio per le sue ali ammaccate. Giorno dopo giorno, definisce uno spazio nel quale incide accuratamente il proprio diario. E lo fa con la fibbia metallica della giacca della propria divisa da ricoverato,  graffiando ostinatamente l’intonaco con disegni, parole, forme geometriche. Talvolta, la sua scrittura sulla parete scontorna le sagome di quanti, nelle ore d’aria, lì poggiavano la testa per riposarsi dalla tortura della prigionia.

I graffiti di Nof4 si ammirano grazie ai volontari volterrani - Il Tirreno

Fonte: il tirreno.fingel

“Un muro di reclusione che per Nannetti fu un diario di libertà.”

(Andrea Trafeli)

Un’opera con la quale urla al mondo il proprio diritto ad esistere; una ricerca inesorabile e forte di dignità per sé stesso e per chi con lui condivideva la vita in quell’orrenda struttura e che era stata notata dal signor Aldo Trafeli, allora infermiere presso il manicomio, il quale, oltre ad avere un cuore grande quanto il cielo, era anche forse uno dei pochi a comprendere il dolore e la voglia di libertà di Fernando che molto probabilmente buttava in quelle scritte  sul muro. Esse sarebbero rimaste solo parole prive di significato se non ci fossi stato Aldo. Infatti lo stesso infermiere riuscì a conquistarsi la fiducia di Fernando, mostrando un interesse per Roma e per la sua vita. E questo gli diede la possibilità di avere la chiave di lettura oltre che alla grande fiducia dell’uomo che aveva realizzato quest’importante opera. 

NOF4 stabilisce con quelle pietre una sorta di rapporto di fiducia, consegnando loro un messaggio che non potrà mai essere nemmeno cancellato. “Nof4” inoltre diventa il suo pseudonimo. Il suo nome da battaglia mettendo a punto un linguaggio poetico tutto suo, che ricorda molto quello del genio Leonardo Da Vinci. Avvia così un viaggio che crea la strada inesplorata sulla quale incamminarsi e molto probabimente provare a salvarsi Si avventura in se stesso. Nei suoi sogni. Nei suoi aspetti più intimi. Ritrova la libertà nello stesso istante in cui la perde e l’aspetto che più affascina della sua impresa è la strategia di scrittura che adotta creando un singolare alfabeto simile al linguaggio etrusco. Ermetica, inafferrabile e volutamente illeggibile per ricavarsi uno spazio intimo, suo e basta. Lascia filtrare comunque alcune parole, dei disegni e anche delle frasi.

Un’opera in grado di descrivere i tormenti di quell’orrenda condizione. Scrivendo come davanti a uno specchio, lo specchio di quello che era diventato, in un grido di libertà silenzioso Nof4 raccontò con i suoi graffiti di «fantasmi formidabili che dopo la seconda apparizione prendono sembianze umane». Chi erano questi fantasmi? In una recente intervista fatta ad Andrea, figlio di quell’infermiere che salvò la dignità di quest’uomo, questi racconta: 

«Dopo essere stato definito dai medici un “logorroico continuo”, dopo un primo e ingiusto ricovero a Roma, Nannetti a Volterra si era isolato. Fu mio padre l’unico a riuscire a interagire con lui dopo avergli raccontato che aveva fatto il militare all’Eur a Roma dove Fernando aveva lavorato per un breve periodo. Tra loro nacque una grande amicizia. E babbo iniziò a decifrare (scrivendo anche il libro Nof4, il libro della vita ndr) quegli incredibili graffiti e tradurre la narrazione di un uomo ferito nell’anima e umiliato dalla vita.»

Andrea continua il suo racconto svelando a poco a poco qualcosa di questo immenso capolavoro di Art Brut: «Volete sapere chi erano per lui i fantasmi di cui parlava? Erano lui e gli altri malati, i matti in cerca della loro dignità». Povere Creature rinchiuse in un’astronave caduta in un’accessibile buco nero, che l’eroico colonnello astrale Nof4 pensate un pò… avrebbe tanto voluto salvare.

“Ti mando alcune notizie che nel sistema telepatico mi sono arrivate che vi paiono strane ma sono vere. La Terra sta ferma e gli Astri girano su una parte della Terra; la Donna non ha il Padre; per
Televisione ci sentite, ci vedete mediante Quadrante e Radar e nel sistema Telepatico quando sono in
collegamento Cannone 120 elettrico.”