Nel mese di ottobre, la casa editrice Tetra ha fatto il suo ritorno sugli scaffali delle librerie con una fresca selezione di quattro racconti. Quest’ultima pubblicazione offre l’opportunità di immergersi nelle storie firmate da Demetrio Paolin, Dario Voltolini, Marta Cai e Alessandro De Roma.
Concentriamoci questa volta su Voltolini e approfondiamo sia il suo testo che la figura dell’autore che l’ha creato.
La trama
Con Sedici passeggiate con Kuma, Dario Voltolini vuole fare un omaggio a Umberto Eco. Kuma è un esemplare di Akita Inu dal manto color arancio. Durante le lunghe passeggiate, l’autore instaura conversazioni informali con il suo fedele cane, in un contesto di completa libertà, discorrendo liberamente su svariati argomenti, con la certezza che Kuma non rivelerà mai nulla a nessuno. In questi momenti, durante gli incontri con altre persone, Kuma comunica con il narratore attraverso gesti misurati ma significativi e sguardi eloquenti. Il racconto, che spesso si allontana dal percorso principale e presenta tratti di stile walseriano, offre al lettore l’opportunità di immergersi in riflessioni profonde, contribuendo così a dipingere un vivido quadro della vita contemporanea, come magistralmente descritto da Dario Voltolini.
Dario Voltolini
Nato a Torino nel 1959, l’autore ha un ricco portfolio che abbraccia racconti, romanzi, opere illustrate, radiodrammi, testi per canzoni e libretti teatrali. Attualmente, svolge l’incarico di docente presso la Scuola Holden – Contemporary Humanities, di cui è stato anche responsabile dell’aspetto didattico. Tra i suoi lavori più notevoli si annoverano: Una intuizione metropolitana (1990), Rincorse (1994), Forme d’onda (1996), 10 (2000) e Primaverile (2001). Nel 2003, ha pubblicato un inedito e affascinante ritratto della città in cui risiede con il titolo I confini di Torino. Questo è stato seguito da Sotto i cieli d’Italia (2004, in collaborazione con Giulio Mozzi), Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia (2006), Foravía (2010) e Pacific Palisades (2017).
Da menzionare anche i libretti Mosorrofa o dell’ottimismo (1993) e Tempi burrascosi (2008, interpretato da Elio), entrambi musicati da Nicola Campogrande. Inoltre, ha scritto il testo per la canzone Queste ferite sono verdi (2013), che ha vinto la XXIII edizione di Musicultura.
L’intervista
Qual è libro a cui sei più attaccato emotivamente o che ti ricorda l’infanzia?
“È senza dubbio ‘Le avventure di Pinocchio’. Me lo leggeva mio nonno, io non sapevo ancora leggere. Volevo che me lo rileggesse sempre. L’ho ricostruito così tante volte nella mia fantasia che i personaggi mi tenevano compagnia come se fossero stati reali. Il volume che mi veniva letto dal nonno era illustrato. L’ultima illustrazione era un’immagine tremenda. Un bambino mai visto prima, rubizzo e laido, in primo piano, mi sorrideva. Sullo sfondo, gettato su una seggiola, un burattino accasciato in penombra. E io dovevo credere che il MIO Pinocchio fosse quel bambino e non più il burattino? Ero terrorizzato, mi veniva da piangere. Già era tremendo il finale raccontato, ma quella immagine era proprio volgarmente oltraggiosa. Allora il nonno per pietà incollò un cerotto sull’immagine e non la vidi più. Recentemente ho incontrato una studiosa per la quale quel finale va interpretato come un sarcasmo collodiano. Ci avevo visto giusto! ‘Le avventure di Pinocchio’ sono anche il mio metro interiore ed emotivo per amare i libri che leggo. Se leggendoli riprovo un po’ di quella sensazione di non volermi staccare dal testo, di albergarlo in me come una mia parte vivente, allora sono libri anche del cuore, non solo libri belli, non solo libri letterariamente importanti. Ho amato e amo molti libri, molte scrittrici, molti scrittori, ma quando riprovo, leggendo, le emozioni che mi ha dato Pinocchio, quei libri e chi li ha scritti li metto in una zona ancora più profonda degli altri. Possono essere libri diversissimi tra loro, ma stanno in questa mia cripta fatta non solamente di qualità letteraria. Faccio qualche esempio sgangherato: Moresco, Scarpa, Cai, Walser, Kafka, O’Connor, Voltaire, Sheckley, Dovlatov, Lispector, Sebald, Buzzati, Markandaya, Pirandello, Poe, Rabelais, Puškin, Queneau. Poi c’è stato un poeta, a cui preferisco moltissimi altri poeti, che però ha scritto un libro in prosa che va direttamente nella mia cripta: ‘Platero e io’, lui è Jiménez. Ce ne sono vari altri, ma adesso mi vengono in mente questi per primi. Se invece vogliamo rimanere a quelli che mi hanno tenuto di fatto compagnia nell’infanzia, devo ricordare ‘Il giornalino di Gian Burrasca’, ‘Cuore’, ‘Le mille e una notte’, “I ragazzi della via Pál”, “Piccole donne”, le fiabe di Andersen, Salgari.”
Qual è, invece, il titolo imperdibile per comprendere la società attuale?
“Davvero non ne ho idea. ‘Società’ è un concetto che non comprendo bene, mi sfugge. Capisco che la letteratura può essere decisiva per gettare una luce sulla società in cui viviamo, ma non la ‘sento’ così. In un modo trasfigurato, però, i ‘Canti del caos’ di Antonio Moresco potrebbero essere il titolo imperdibile che mi si chiede di segnalare. È la seconda parte del suoi monumentali ‘Giochi dell’eternità’, un oggetto letterario imprescindibile in assoluto.”
Parliamo del rapporto con i lettori: come gestisci le critiche?
“Il rapporto diretto con i lettori non è proprio pane quotidiano per chi scrive. Con la rete va un po’ meglio di un tempo, quando di feedback ce n’erano davvero pochi. Io sono fortunato: ho lettori che mi dicono cose belle dei miei libri. Gestisco questo con gratitudine. Le critiche negative, inutile fingere, non mi fanno piacere. Tuttavia riesco a distinguere le critiche che mi aiutano a migliorare da quelle di chi non ha capito cosa intendevo fare. Ecco, non sopporto l’arroganza di chi critica senza capire cosa legge. Non la sopporto anche in relazione ai libri altrui, non dico solo per me. La gestisco malissimo.”
E i complimenti, invece?
“Ecco, appunto. Gratitudine. Non sono del tutto onesto, va detto: se mi si fa un complimento per motivi infondati, sono contento lo stesso. Se mi si critica per motivi infondati, mi incazzo di brutto. Evidentemente qui c’è uno squilibrio.”
A proposito del racconto realizzato per Tetra: chi dovrebbe assolutamente leggerlo?
“Be’, se devo essere sincero, nessuno deve leggere ‘assolutamente’ niente. Leggere è esercitare una libertà. Ma diciamo che sarebbe un ottimo risultato (anche per l’editore!) se lo leggessero tutti i cinofili.”
Giornalista, lettrice professionista, editor. Ho incanalato la mia passione per la scrittura a scuola e da allora non mi sono più fermata. Ho studiato Scrittura e Giornalismo culturale e, periodicamente, partecipo a corsi di tecnica narrativa per tenermi aggiornata.
Abito in Calabria e la posizione invidiabile di Ardore, il mio paese, mi fa iniziare la giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno.