In Soffia il vento, il nuovo libro fotografico di Alessandro Capurso e Pamela Barba e ambientato nella Taranto dell’Ilva, delle fabbriche e della classe lavoratrice, la questione dell’Ilva è affrontata solo di striscio, non perché ritenuta poco importante dai due autori ma piuttosto perché questo libro vuole con tutto se stesso mettere al centro le persone. I luoghi in cui vivono. L’area malsana che respirano.
Soffia il vento: storia di promesse mai mantenute
Tutto cominciò quando, negli anni Ottanta, più di 500 famiglie di Taranto furono spostate provvisoriamente – o almeno così loro credevano – in un quartiere ghetto denominato Tamburi, un luogo troppo vicino alla fabbrica della morte, l’Ilva. L’obiettivo? Restaurare un centro storico pericolante e malfamato, abitato da quasi un migliaio di persone, e successivamente, non appena i lavori fossero terminati, reinserire le famiglie in un ambiente meno degradato.
Ma non andò affatto così. Quarant’anni dopo, infatti, i quartieri ghetto resistono, gli abitanti del centro storico non sono ancora tornati nelle loro case e anzi, si trovano ad avere a che fare con tutti i problemi derivanti dalla vicinanza con una fabbrica altamente inquinante. Nel frattempo il centro storico è stato totalmente lasciato al libero mercato, mentre nella periferia di Taranto si creavano realtà abitate prevalentemente da proletari.
Soffia il vento: l’invettiva di chi ha assistito impotente e adesso vuole fare qualcosa
Soffia il vento comincia con un’invettiva piena di rabbia, ma anche amore nei confronti delle vittime di questo trasferimento, persone che hanno pagato sulla loro pelle l’idea di un’edilizia e di un’urbanistica votata esclusivamente al profitto, che fa di tutto per scoraggiare la ripopolazione del centro di Taranto da parte dei tarantini, in favore di un turismo di massa e della nascita di iniziative speculative private. Nel libro si alternano foto delle zone più periferiche della città a una scrittura di pancia, sofferente ma che non manca di poesia. Degni di nota gli accenni alla filosofia dell’urbanistica, a ribadire la centralità che l’essere umano dovrebbe avere nella progettazione degli spazi cittadini – e non.
Le foto delle case-parcheggio del quartiere Tamburi agghiacciano il lettore, sbattendogli in faccia una verità taciuta dalla maggior parte dei media: in tutta Italia, a partire dal sud, è in corso un grande progetto per ghettizzare le classi lavoratrici in quartieri abbandonati a se stessi, dove l’architettura è squallida e il cittadino si trova imprigionato in case progettate per alienarlo e isolarlo dalla borghesia.
Chi ci guadagna? Il libero mercato, l’élite di vecchi e nuovi ricchi e un turismo di massa scriteriato, che non porta nessun benessere al cittadino, arricchendo pochi e creando disagi nel resto della popolazione.
Un libro necessario – per la verità cui ci sottopone; filosofico – per la cultura che trasuda dalla penna di Pamela Barba e dall’obiettivo fotografico di Alessandro Capurso; decisivo per chi sa che la politica si riflette anche nel modo in cui gli spazi delle città vengono distribuiti e progettati.
Elisa Serra è nata e vive a Torino. Di professione editrice, insegnante e social media manager, nel tempo libero principalmente dorme. E’ una persona estremamente ironica, anche se conoscendola non si direbbe.
Nei ritagli di tempo scrive per Hermes Magazine e Land Magazine.