Trieste è sicuramente una delle città tra le migliori in Italia, dalla quale osservare il mondo, vista la sua storia e le sue mille peculiarità. E pare sia stata anche la città migliore, per il “ciak, si gira!” dell’opera prima di Mauro Mancini. Questo film, infatti, è l’unico lungometraggio italiano a far parte della trentacinquesima edizione della settimana internazionale della Critica alla Mostra del Cinema a Venezia. Il film è ambientato proprio qui, tra le vie e le piazze della città, che hanno visto scorrere il sangue del risorgimento italiano. Un territorio, quello di Trieste che è stato d’ispirazione anche a Svevo e Saba. Una città che sappiamo essere stata la culla delle brutalità e dall’orrore, testimoniata dalle foibe, avvenuto sempre per le motivazioni di cui si parla nel film: l’odio razziale e il chiaro sentimento di terrore e rifiuto di fronte al diverso.
E di motivi per farne parte, e chissà magari vincere il premio, “Non Odiare” ne ha davvero molti. In primis la trama, che sconfina in una sinossi, molto, ma molto contemporanea, che però, richiama anche ad un passato non troppo lontano.
Trama
Il racconto, ambientato ai tempi nostri, parla di un medico, Simone Segre (A. Gassman), che durante una notte si ritrova a prestare soccorso ad un uomo coinvolto in un incidente automobilistico. Nonostante il guidatore sia rimasto gravemente ferito, Simone fatica a prestargli le prime cure, perché nota sul petto dell’uomo una svastica. Scosso dal simbolo, infatti il medico se ne va lasciando l’uomo al suo triste destino. Nei giorni successivi, ben presto faranno capolino i primi sensi di colpa, così, Simone decide di aiutare la famiglia dell’uomo che ha lasciato morire. Conosce Marika (Sara Serraiocco), la figlia di costui e la assume come colf. La ragazza però non sa di essere alle dipendenze dell’uomo che avrebbe potuto salvare suo padre, e a tutto questo, si aggiunge anche la figura del fratello di lei, Marcello (Luca Zunic), un vero e proprio Naziskin come il padre. Nel frattempo tra Marika e Simone nasce qualcosa di più di un semplice rapporto di lavoro.
Un film che insegna
Un film che sicuramente parla di un tema fondamentale nei giorni nostri: quello dell’odio verso il diverso, quello della rabbia che fomenta nei cuori questo odio, e le idee sbagliate, che spesso si fanno largo tra le mode dei giovani, a volte persino trasportate da ciò che gli viene insegnato dai più grandi: e questo è un vero e proprio problema. Un film che ci apre gli occhi, e che ci aiuta a capire, quanto, è importante, “Non odiare” chi non è come noi. O meglio chi non ha le nostre stesse radici, la nostra stessa cultura, il nostro senso di concepire la vita, la nostra stessa pelle.
Un lungometraggio che riporta alla luce diverse personalità forgiate già dei tempi che furono, con le leggi razziali e con l’essere ebrei, e ci apre gli occhi su realtà che di certi tempi come i nostri, ma anche molto prima ci racconta e continua a raccontarci che non c’erano e ad oggi non ci sono ne vinti ne vincitori, quando si tratta di odio, violenza e discriminazione.
Un film che vale la pena vedere, forse perché riesce a raccontare l’odio razziale, spiegandolo con tutto l’amore possibile, anche tra due “pelli” diverse.
Mi chiamo Alessia, scrivo per difendermi, per proteggermi e per dare una mia visione del mondo, anche se in realtà io, una visuale su tutto quello che accade, non ce l’ho, e probabilmente non l’ho mai avuta. Ho paura di ritrovarmi e preferisco perdermi.
Culturalmente distante dal pensiero comune. Emotivamente sbagliata. Poeticamente scorretta. Fiore di loto, nel sentiero color glicine. Crisantemo all’occorrenza. Ho più paure che scuse. Mi limito a scrivere e leggere la vita. Mi piace abbracciare Biscotto, anche da lontano. Anche se per il mondo di oggi sembra tutto più difficile.
Scrivo per questo magazine da circa un anno. Ho pubblicato anche un libro ( ma non mi va di dire il titolo perché qualcuno penserebbe “pubblicità occulta”). Ho aperto un mio blog personale: “Il Libroletto” dove recensisco libri per passione.