"One Life", la recensione del film

“One Life”, la recensione del film

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È già in tutte le sale cinematografiche il film intitolato “One life” e ispirato  al libro  “If it’s not impossible. The life of Sir Nicholas Winton” scritto da Barbara Winton.

I personaggi

Ciò che attrae soprattutto il pubblico  è di certo il suo protagonista, Anthony Hopkins, che interpreta il ruolo di un Winton anziano, interfacciandosi con la ricostruzione di quanto era accaduto al Winton giovane, interpretato magistralmente  da Johnny Flynn, sotto la regia di James Hawes.

La trama

Si tratta della storia di un agente di cambio inglese che visita la Cecoslovacchia negli anni Trenta e decide di organizzare il salvataggio di tanti bambini ebrei provenienti dalla Germania nazista e dai territori occupati per evitarne lo sterminio. Si allestiscono quindi ben otto treni in cui i bambini, con passaporti e documenti legali, vengono inviati da Praga a Londra per essere adottati dalle famiglie della città inglese, temporaneamente secondo i bambini, mentre per le loro madri definitivamente. Il nono treno, infatti, doveva partire la mattina stessa in cui Hitler decise di invadere la Polonia, ma da quel primo settembre 1939 il treno non partì mai più ed ebbe inizio la Seconda Guerra Mondiale. Si salvarono così 669 bambini ebrei e 50 anni dopo Nicky vive nel rimorso di non essere riuscito a salvare tutti gli altri, partecipando alla famosa operazione “Kindertransport” che salvò in tutta Europa ben diecimila bambini ebrei.

Però è quando Winton viene invitato alla trasmissione televisiva della BBC “That’s Life” alla fine degli Anni Ottanta che verrà ringraziato da tutti quei bambini che lui ha salvato, ma che adesso sono adulti e gli dimostrano con affetto e trasporto il loro profondo ringraziamento, alzandosi in piedi e applaudendolo.

Il valore di testimonianza

Il significato profondo di questo film è prima di tutto quello di essere un ulteriore documento che attesta la memoria dello sterminio degli Ebrei e che permette a tutta l’umanità di “non dimenticare” la barbarie che si realizzò nei confronti di questo popolo. Un documento umano, quindi, che mette in luce la situazione in Cecoslovacchia e a Londra, spostando il baricentro dalla Germania agli altri Paesi in cui la persecuzione si è realizzata.

Per questo motivo è stato paragonato a Schindler’s list di Spielberg di cui resta indimenticabile il cappottino rosso della bambina in una scena in bianco e nero: il focus sui bambini deportati è di grande impatto e spesso impressionante. Così anche la time- line che si alterna costantemente tra la vita del giovane e dell’anziano Winton permette di focalizzare come la vecchiaia anche per i benefattori – come ovviamente per i testimoni rimasti – sia tormentata continuamente dal ricordo del passato laddove non sia stato possibile salvare tutti; perché del resto tutti non si potevano di certo salvare! Ma la mente umana, anziché apprezzare quanto fatto, ci riporta inevitabilmente a “ciò che si poteva fare” e quindi a quel mare di rimorsi che è da sempre il cruccio dei sopravvissuti e che ha condotto Primo Levi  dopo la pubblicazione de “I sommersi e i salvati” – dal tormento quotidiano all’esasperazione e infine al suicidio.

I punti di forza

Chi quindi sostiene che il film sia troppo canonico o che non abbia la necessaria incisività  (Damiano Panattoni), forse non è riuscito ad entrare empaticamente in sintonia con Anthony Hopkins e non ne ha condiviso la commozione nella penultima scena. E’ lì che, a mio parere,  si effonde senza potersi ormai più trattenere  il pianto disperato del rimorso in uno dei momenti più intensi del film: è  quel pianto a dirotto- reso magistralmente da un attore così espressivo  ancor di più nell’ età matura! – che  genera profonda pietas perché è quello di un anziano, fragile e debole, che mai vorremmo vedere lasciarsi andare e di cui intuiamo i pensieri di morte che devono essere scongiurati con fermezza.  Sono proprio loro  quegli anziani testimoni che insegnano alle nuove generazioni la sacralità del rispetto verso la storia e verso il passato  – e non può non venirci  in mente la senatrice  Liliana Segre! –  e che i giovani hanno il dovere non solo di proteggere ma anche e soprattutto di tramandarne il ricordo con  estrema incisività!


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