Recensione del film “Madame Luna” di Daniel Espinosa

Recensione del film “Madame Luna” di Daniel Espinosa

Il 18 luglio prossimo sarà presentato al 70° Festival di Taormina il nuovo film di Daniel Espinosa “Madame Luna” prodotto da Momento Film, Hercules Film Fund, Rhea Films, Dugong Films, Tv4, Film I Väst.

Si tratta di una coproduzione Svezia – Italia, realizzata con il sostegno di Swedish Film Institute, il  Ministero della Cultura – Dg Cinema Regione Calabria – Calabria Film Commission Regione Sicilia. Alla sceneggiatura hanno lavorato, oltre al regista, Suha Arraf e Maurizio Braucci. Tra gli interpreti ci sono i Meninet Abraha  Teferi – autore di “Vittoria alle masse: Eritrea, Eroismo e Resilienza”, Anteo, 2021- Hilyam Weldemichael, Claudia Potenza,  Emanuele Vicorito e Luca Massaro.

La trama

Il film si impernia sul personaggio di Almaz, una donna eritrea, spietata trafficante di esseri umani, nota con il nome di Madame Luna. Quando il regime in Libia cade, è costretta a fuggire anche lei e deve intraprendere il lungo e faticoso “viaggio della speranza” attraverso il Mediterraneo. Il film si apre con le operazioni di sbarco in Italia, quando comprende che non ha più nessun legame con la sua organizzazione eritrea. I primi piani sull’attrice e la sua grande espressività proiettano il pubblico nella sua sofferenza ma anche nella sua capacità di comprendere che il “caporalato” locale calabrese le potrebbe offrire la possibilità di sopravvivere, ma anche di guadagnare illecitamente, speculando illegalmente sul sistema dell’accoglienza. La scalata verso il potere sembra facile anche per il forte legame – non solo di amicizia – con la famiglia calabrese che gestisce il lavoro nei campi degli immigrati. E’ l’ incontro con la giovane Eli che, chiamandola con il suo antico appellativo “Madame Luna”, la ricondurrà al suo passato, che lei ha voluto dimenticare, ma che irrompe con forza quando la ragazza le ricorda che l’ha strappata al fratello, torturato dal nuovo regime, e che vorrebbe fare venire in Italia. Dopo averla respinta, Almaz decide di provare a riscattare il suo passato e scegliere di aiutarla sia a lavorare nei campi sia chiedendo notizie a chi è rimasto in Eritrea. Da questo momento in poi l’aiuto per Eli sarà continuo e incondizionato, salvandola dalle cattive compagnie, dallo sfruttamento, aiutandola a procurarsi i soldi per fare arrivare qui suo fratello, ma  anche dalla prostituzione sotto minaccia per uno dei “caporali” calabresi e rischiando la sua vita. Ma Eli non le crederà più, non le sarà più grata per i suoi sforzi, non la ringrazierà più: il suo aiuto è arrivato troppo tardi e la scena si chiude, così come si era aperta, su quel mare che resta l’unica speranza di restituirla al suo mondo. Quel mare, secondo il regista, che è simbolo del “panta rhei” e cioè del fatto che, poiché tutto scorre, ci può essere -forse – una seconda chance  per riscattarsi. L’importante è non arrivare troppo tardi ad afferrare le occasioni che la vita ci concede!

Il significato del film

È un film che dà voce alle riflessioni più profonde quando si cerca un riscatto dal proprio passato per riconquistare la propria dignità. Così il regista Daniel Espinosa ha inteso rappresentare il soggetto creato dal produttore David Herdies: una donna che ha commesso  azioni terribili perché costretta dalle circostanze, che vive in un mondo senza regole e che diventa una “criminale” per poter sopravvivere, cerca di dare una svolta alla sua vita e volgersi al bene per ottenere un riscatto dal suo passato.

Il cast e gli ideatori del film

La sceneggiatrice, Suha Arraf, è una rifugiata palestinese, che ha già scritto “Lemon Tree”, un romanzo basato sul simbolo dell’albero di limoni – al pari della “casa del nespolo” di Giovanni Verga! – che tiene unita una famiglia palestinese di fronte ai tentativi di una famiglia israeliana che cerca di sradicarli. E’ lei che ha curato il personaggio di Almaz e i suoi sensi di colpa, la sua sensibilità femminile, la delicatezza con cui una guerriera come lei sa entrare in empatia con le altre donne. Invece Maurizio Braucci, che ha collaborato alla sceneggiatura di “Gomorra” di Matteo Garrone, ha curato la descrizione della realtà degradata e violenta in cui si inserisce la protagonista. Questo perché il regista voleva creare una sinergia tra chi ha osservato queste storie solo da lontano e chi le ha realmente vissute. E nella comunità eritrea femminile, ma in particolare in Almaz e nel suo sguardo profondo, intenso, mai banale o assente, c’è tutto il dramma vissuto dai migranti. L’attrice riesce a  creare una forte empatia con il pubblico nelle dinamiche di contrasti, contestazioni, ma anche di affetto, di amore, di partecipazione o di condivisione. Infatti la protagonista diventa una mediatrice culturale che parla ben tre lingue e questo la rende carismatica nei confronti dei suoi conterranei e ben apprezzata dai caporali locali;  ma i suoi silenzi sono ancora più espressivi perché connotano i momenti di maggiore suspense. Del resto anche la ribelle Eli ha un ruolo ben modulato tra supplice, contestatrice, e vittima. Ma è quando alla fine diventa indifferente a tutto – persino ad Almaz che è gravemente ferita! – che strappa la scena alla protagonista, diventando incomprensibile nel suo atteggiamento, ma proprio per questo ancora più emblematica e  “in primo piano” nella conclusione.

Il tema della memoria nel film

Il regista afferma di  immedesimarsi profondamente  con la volontà della protagonista. Ha infatti dichiarato: “Quando avevo sedici anni, ho passato una notte in carcere e il giorno dopo ho compiuto un gesto terribile: ho tagliato la gola ad uno dei miei migliori amici. Il ricordo del mio amico con la gola sanguinante è diventato un incubo che mi ha tormentato per molti anni. Per tutta la vita mi sono chiesto se meritassi davvero di arrivare dove sono arrivato oggi. Meritavo una redenzione per le mie azioni? Ancora oggi non riesco a perdonarmi e non so se merito di essere perdonato”. Dunque questa domanda ricorrente si traduce nel film negli incubi, nelle immagini che destano all’improvviso Almaz dai suoi sogni: mentre cammina in mare rivive mille volte il suo dirigersi verso la riva, urtando inavvertitamente con le gambe  contro il cadavere già sommerso e tutto insanguinato dell’amico. E’ un avvertimento ma di certo anche un presentimento della sua morte!

Chi è Daniel Espinosa?

Daniel Espinosa è uno dei registi svedesi più conosciuti. Dopo diverse produzioni hollywoodiane che spaziano dal thriller alla fantascienza, Espinosa ha ottenuto il suo primo grande successo nel 2010 con   Easy Money, con un record di incassi in Svezia e l’approvazione sia del pubblico che della critica, ricevendo un consenso internazionale.  Due anni dopo conferma il suo successo con il lungometraggio americano Safe House  con Denzel Washington e Ryan Reynolds, pellicola che ha incassato oltre 200 milioni di dollari in tutto il mondo, un record tra i registi svedesi. E’ del 2017  il suo famoso film di fantascienza Life – con Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson e Ryan Reynolds- che ha impressionato il pubblico per la rappresentazione estremamente realistica di come degli astronauti in una stazione spaziale su Marte scoprono una forma di vita aliena, che si rivelerà ben presto  invasiva e contro cui tutti dovranno combattere per sopravvivere. Infine  l’ultimo film  Morbius, è datato 2022: si tratta  dello spinoff di Spider-Man prodotto da Sony, con l’attore premio Oscar Jared Leto nel ruolo principale, che ha incassato 84 milioni di dollari nel primo weekend in cui è stato visto.