Dominante, imponente e misteriosa, Rocca Calascio è l’imperatore che tutto guarda e tutto domina. Sono in Abruzzo, terra del Gran Sasso, della Maiella e dei Monti Marsicani per cercare il genio dell’uomo, il genio della natura e delle tradizioni.

Parlare di eccellenze storiche e architettoniche abruzzesi è facile, basta avere un weekend a disposizione e lasciarsi guidare dall’istinto. Ad ogni passo la meraviglia si presenta a te come una Dea e al suo cospetto non puoi che inchinarti. Ma devi avere il coraggio di inoltrarti, di arrampicarti, di voler raggiungere la vetta. 

Come raggiungere Rocca Calascio

Ho due possibilità per raggiungere la famosa rocca: salire con una navetta o farmela a piedi dal paese di Calascio. Ovviamente scelgo la seconda opzione. Prendo il sentiero e in soli 30 minuti sono venuta a contatto con un ecosistema naturale di grande effetto, mi sembra di essere in un deserto ad alta quota e il paesaggio è mozzafiato. Mentre cammino penso che, se avessi un bambino piccolo, non avrei potuto incamminarmi verso questo sentiero, neanche se avessi con me un amico disabile. Peccato, perché neppure la navetta arriva al castello, si ferma al borgo.

Quando giungo a 1460 metri mi trovo di fronte l’imponente Rocca Calascio, il castello medievale più cliccato al mondo e considerato dalla National Geographic fra i 15 castelli più belli del nostro pianeta. Diciamo che se non fosse per lui, forse il vecchio borgo che si trova ai suoi piedi e la chiesetta Santa Maria della Pietà sarebbero sconosciute ai più. La sua pianta ottagonale mi porta a pensare che fosse un luogo di culto esoterico, non a caso è la pianta dei battisteri e degli antichi castelli.

L’aria è frizzante e camminare sulla pavimentazione che un tempo fu sicuramente percorsa da cavalieri in arme e damigelle, mi fa sognare. Per un attimo mi sento una cortigiana. Ora capisco perché l’intero sito è stato il palcoscenico di moltissimi film che vanno dai primi spaghetti western “Trinità” e “Continuarono a chiamarlo Trinità” con Bud Spencer e Terence Hill, ai più impegnati come il “Deserto dei Tartari” con i grandi Vittorio Gassman e Philippe Noiret,  a “LadyHawke” con la splendida Michelle Pfeiffer e persino “Il Nome della Rosa” con Sean Connery, solo per citarne alcuni.

Resto a contemplare il panorama e a sentire l’energia esoterica che emana prima di farmi sopraffare da un certo languorino. Per scendere ho optato per una strada alternativa, meno faticosa anche se più lunga, che porta al borgo in circa 45 minuti. Mi metto alla ricerca di un ristorantino, voglio assaggiare le Scrippelle m’busse. Si racconta che all’inizio dell’800 Enrico Castorani, un famoso cuoco della zona, stesse preparando le crêpes  per le truppe francesi di stanza in Abruzzo. Al momento di servirle gli caddero nel brodo: nacquero così le scrippelle ‘mbusse, ovvero “bagnate”.

Il borgo di Santo Stefano è incastonato come un diamante all’interno del Parco nazionale del Gran Sasso. Se è così ben conservato lo dobbiamo a un giovane baldo svedese, Daniel Kihkgren che acquistò parte delle abitazioni abbandonate e le ristrutturò rispettando le caratteristiche peculiari della zona. Tanto di cappello allo svedese, peccato che non ci abbia pensato la Soprintendenza delle Belle Arti, ma tant’è. Il mio viaggio continua in un sali e scendi di scalinate e sguardi agli edifici ornati di bifore, loggiati e archi che ricordano un puntiglioso studio architettonico medievale.

Con un po’ di rammarico per il poco tempo a disposizione saluto l’Abruzzo, altri lidi mi attendono, prometto però di ritornare presto perché ha già un posticino nel mio cuore.

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