James Marshall Hendrix, era questo il suo vero nome, è stato e continua ad essere un punto di riferimento per i musicisti, in particolare i chitarristi, che spaziano nell’ambito del rock.
Nel corso di questi cinquant’anni trascorsi dalla sua morte, artisti affermati e cover band hanno suonato i suoi successi; brani come Hey Joe, Foxy Lady, Purple Haze, Little wing e molti altri, sono oggetto di studio nelle scuole di musica, come se si cercasse di colmare il vuoto che ha lasciato nel mondo musicale.
Biografia
Nato a Seattle il 27 novembre 1942, a dodici anni il padre gli regala una chitarra a cui da il nome Al e dalla quale non si stacca mai; inizia a suonare da autodidatta e già da lì, il talento comincia a intravedersi.
A ventun’anni si arruola nell’esercito, come paracadutista, ma dopo pochi anni si stanca di quella vita e si congeda, preferendo quella da musicista per la quale – che ve lo dico a fare – è più incline.
Suona da professionista per Little Richard, Wilson Pickett, King Curtis e altri gruppi di Rhythm and blues, esperienza che, musicalmente, lo fa crescere in fretta.
Nel 1965, forma il suo primo gruppo con cui si esibisce in diversi locali al Greenwich Village, a New York, cosa che gli dà una certa stabilità economica e, di conseguenza, la possibilità di concentrarsi nella sperimentazione di nuovi suoni della chitarra, creando un sound innovativo per quel periodo.
Chas Chandler – manager ed ex componente degli Animals – lo vede all’opera, rimane folgorato e lo convince a seguirlo a Londra che in quegli anni è in pieno fermento artistico e musicale.
Dà vita a una band – The Jimi Hendrix experience – con il bassista Noel Redding e il batterista Mitch Mitchell e da quel momento nessuno lo ferma più.
Rimane di stucco anche Paul McCartney, che, al Saville Theatre di Londra, assiste allo spettacolo di diversi gruppi, tra cui quello di Jimi che inizia l’esibizione con ”Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band”, il brano che dà il nome al celeberrimo album dei Beatles, uscito giusto il giorno prima.
Nel giro di due anni escono tre LP: Are you experienced? e Axis: Bold as love nel 1967 e Electric Ladyland nel 1968, album zeppi di successi che hanno fatto la storia del rock: oltre ai brani già citati all’inizio dell’articolo, si menzionano Voodoo Chile, Red house, Manic Depression, Stone free, Wait until Tomorrow, c’è anche All along the watchtower, una cover di Bob Dylan, di cui Hendrix era un fan accanito.
I Festival
Celebri rimangono le sue esibizioni al Festival di Monterey, dove, alla fine del concerto brucia la sua chitarra – una Fender Stratocaster – e soprattutto a quello di Woodstock, con la sua straziante versione dell’inno USA (Star spangled banner), in cui, con la fedele compagna, imita i suoni delle bombe, come segno di protesta contro la guerra in Vietnam che gli americani avevano invaso qualche anno prima.
Lo stile
Il suo modo coinvolgente di suonare la chitarra, ha fatto scuola, tant’è che la maggior parte dei chitarristi che sono venuti dopo, si sono ispirati a lui.
Ha avuto il merito di mescolare la tradizione del blues con i suoni della chitarra elettrica, portata ai livelli più estremi, usando vari effetti come le distorsioni, il wah wah, il feedback, tanto per citarne alcuni; la sua sensualità non era espressa solo con il suono della chitarra, ma anche con la sua voce: non è un caso che era considerato un sex-symbol.
18 settembre 1970
In quel giorno il mondo, perlomeno quello musicale, si fermò: era stato trovato morto a Notting Hill, un elegante quartiere londinese, a causa di un’overdose di barbiturici.
La notizia destò scalpore tra i fans, ma anche tra i colleghi: per esempio, un suo grande amico, il chitarrista Eric Clapton entrò in crisi e meditò il ritiro dalle scene.
C’è chi approfittò e approfitta ancora della sua morte e cioè i discografici; infatti, dopo la sua dipartita, sono usciti sul mercato venticinque dischi – o forse più – di materiale inedito o di greatest hits. Hanno cercato di colmare il vuoto con il denaro. Inutilmente.
Manchi ancora, Jimi.
Nato in un torrido ferragosto del 1968 a Milano, dove vive tutt’ora.
Si considera vecchio fuori, ma giovane dentro: in realtà è vecchio anche dentro.
La scrittura è per lui un piacere più che una passione, dal momento che – sua opinione – la passione stessa genera sofferenza e lui, quando scrive, non soffre mai, al massimo urla qualche imprecazione davanti al foglio bianco.
Lettore appassionato di generi diversi, come il noir, il thriller, il romanzo umoristico e quello storico, adora Calvino, stravede per Camilleri e si lascia trascinare volentieri dalle storie di Stephen King e di Ken Follett.
Appassionato di musica, ascolta di tutto: dal rock al blues, dal funky al jazz, dalla classica al rap, convinto assertore della musica senza barriere.
Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo, dal titolo “L’occasione.”, genere umoristico.
Ha detto di lui Roberto Saviano:”Non so chi sia”.