In un’estate calda come questa del 2024 la voglia di prenotare un weekend al mare e immergercisi a tempo indeterminato è tanta. Eppure, da una accessibile ed elementare indagine condotta sui social (provate a farlo voi in questi giorni) ci si stupisce del fatto che più del mare, l’estate sia costellata di concerti, stadi, festival e piazze cittadine con enormi palchi. Dalla reunion nostalgica all’autore dell’ultimo tormentone; dalla band internazionale dal piglio pop scenografico all’artista dall’appeal intellettuale. Quest’anno il place to be è il concerto.
Figlia illegittima di una comprensibile reazione ad un prolungato periodo di isolamento e di numerosi quanto intollerabili limiti al divertimento e socialità, la risonanza mediatica e sociale della musica dal vivo in Italia ha assunto oggi dimensioni inimmaginabili, almeno fino a qualche anno fa. I grandi festival si aggiudicano line up invidiabili, le grandi città attirano artisti internazionali per un’unica data esclusiva o per 4/5 date di fila. L’industria musicale e gli artisti ringraziano, benedicendo quegli anni di pausa, ampiamente recuperati a suon di biglietti staccati.
Annunci di date in questa o quella regione con anni di anticipo, manco fosse un matrimonio, generano una nuova e preoccupante epidemia contagiosa, dai sintomi ossessivo-compulsivi: eccola, la febbre dell’acquisto del biglietto dilaga mietendo vittime, con sintomatologie ansiogene allo scoccare dell’ora x, dal maniacale refresh della pagina di rivendita di biglietti al tentativo simultaneo da molteplici dispositivi collegati; una febbre che contagia con facilità anche chi ha sentito nominare una volta sola il nome di quel cantante per cui si sta indebitando.
Neoventenni improvvisamente nostalgici di un’epoca che non hanno mai vissuto nè conosciuto se non dai caroselli Instagram e TikTok con didascalia “90s”; 50enni catapultati in una seconda giovinezza dopo la reunion di quella band che ascoltavano da teenager; ragazzi che, per dare un tono alla propria immagine costruita a fatica fino ad allora, pensano bene di ravvivare i loro contenuti social con un random “oggi qui” localizzandosi al San Siro all’evento musicale dell’anno (di chi poi lo scoprirà nel corso della serata).
Non stupisce quanto la platea dei concerti oggi sia più che variegata. Dal fan della prima ora, a quello più recente, dall’occasionale a quello che si è ritrovato lì per puro caso. E così, durante due/tre hit vedi tutti abbracciarsi, presi come sono dalla canzone ascoltata alla radio e dalla famigerata prova fotografica del momento. Dopodichè si passa a chiacchierare durante una setlist sconosciuta, a fare una fila per prendere l’ennesima birra, o persino a sbuffare per la lunghezza del concerto.
Andare ai concerti oggi rappresenta la risposta più cool al “cosa fai quest’estate?” soprattutto se in alternativa non ci sono mete paradisiache prenotate all’orizzonte. E via, soddisfatti e tronfi, ad elencare i concerti fatti e quelli in programma, atteggiandosi ad esperti di musica, dall’animo sensibile ad ogni forma artistica.
I concerti si rivelano essere un indubbio momento di aggregazione, di svago e condivisione, ma oggi viene da pensare se l’ansia del biglietto e l’attesa spasmodica dell’evento in sè siano semplicemente figli di una moda dilagante che prescinde dalla passione di quel cantante o quella band. La musica, ad ogni evento dal vivo annunciato, perde così progressivamente un pezzetto della sua essenza, della sua intima magia, rendendosi accessibile (non economicamente sia chiaro) anche a chi ne fa un egoistico consumo one night stand, usa e getta, perchè ormai è cool dire di andare al concerto di. Non importa di chi, non importa dove. L’importante è esserci (e ricordarsi di allegare prova video-fotografica).
Laureata in marketing e masterizzata in comunicazione e altro che ha a che fare con la musica. Fiera napoletana, per metà calabrese e arbëreshë, collezionista compulsiva di vinili, cd o qualsiasi altro supporto musicale. Vanto un ampio CV di concerti e festival.