Il festival di Woodstock: quando la musica mantiene le promesse

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Ricorrono in questo caldo agosto 2023 date importanti, soprattutto a livello di eventi in musica. Ma il 15 agosto lo ricorderemo sempre per un unico festival: quello di Woodstock.

Il festival di Woodstock

Succedeva, infatti nel 1969, a Bethel, a qualche chilometro dalla città che dava il vero nome a tutto quello che poi è stato scritto,  dal 15 al 18 Agosto, il festival più importante della storia della musica a livello mondiale: “Woodstock”.

 

L’idillio dell’idea hippie che raggiunse il suo apice proprio in quegli anni si radunò in una vasta zona agricola della contea di Bethel per vivere tre giorni di “Peace & Rock music” che sono ad oggi fissati nella nostra memoria e nell’immaginario collettivo grazie all’omonimo cinedocumentario di Michael Wadleight.

Woodstock non è stato solo un concerto, è stata forse la maggiore espressione di forma liberale di fronte alle imposizioni tassative della società. Una protesta, non silenziosa, ma capace di far rumore attraverso la musica, la pace, l’amore e non solo.

La prima giornata

Quando quattro produttori musicali e promoter newyorkesi decisero di organizzare questo spettacolo, le premesse erano quelle di molti festival del genere, ma, come la storia ci insegna, non fu affatto cosi. Fu proprio nella mattinata del 15 agosto che ci si rese conto dell’imponenza dell’evento che si stava configurando all’orizzonte e nella storia mondiale.

Si racconta infatti che l’unico reporter del Times inviato per seguire l’evento si aspettava “solo un grosso festival“, ma una volta giunto sul posto, si ritrovò nel bel mezzo di un ingorgo di macchine parcheggiate qua e là, e decine di migliaia di giovani che avanzavano correndo verso l’area concerto.

Woodstock 50: spaghetti, hot dog e piccole epifanie | Rolling Stone Italia

Fonte foto: rollingstone.it

Fu allora che il reporter chiamò il caporedattore del giornale dicendogli di mandare assolutamente altre persone per filmare e documentare quanto stava accadendo, perchè “non era solo un festival“.

All’inizio, infatti, i biglietti erano venduti al costo di 24 dollari, ma vista la portata di ciò che stava accandendo, moltissime persone entrarono gratuitamente. Le autorità furono costrette, attraverso le radio e le tv, a dare comunicati allarmisti per scoraggiare le persone ad andare verso la zona dove era stato allestito l’evento, poichè la location non era assolutamente pronta per una massa di 400 mila persone, andanti per i 500 mila, accorsi per assistere ai concerti con i più importanti cantanti dell’epoca.

Si sarebbero dovuti contare solo 50.000 spettatori, ma purtroppo (o per fortuna) non fu così, e quello che accade fu sbalorditivo.

Sicuramente, c’è da ricordare che in molti di quei terreni, stettero per circa tre giorni in situazioni davvero precarie. A partire dall’igiene personale, fino ad arrivare al fango che la pioggia di quei giorni aveva sollevato. Ovviamente circolava liberamente ogni sorta di droga, dall’eroina all’Lsd, così come si professava (e si faceva) l’amore libero senza nessun tipo d’inibizione.

Furono trentadue i cantanti che si susseguirono sul palco alternandosi. E furono anche molti gli annunci di persone che si perdevano e non si ritrovavano in quel groviglio di vite attaccate alla musica e alla libertà. Furono allestite tende “alla buona” come pronto intervento, nel caso qualcuno ne avesse avuto bisogno.

C’erano gli elicotteri che calavano viveri ed acqua dal cielo e le condizioni igieniche restavano comunque molto precarie a causa anche delle piogge e del pantano che si era formato con l’acqua e il fango.

Il primo concerto iniziò alle cinque del venerdi. Si esibì il cantautore Richie Havens seguito da Swami Satchidananda, Sweetwaterm (che si dovevano esisbire per primi ma hanno avuto un problema e furono sostituiti all’ultimo), Country Joe McDonald, John Sebastian, The Incredible String Band, Bert Sommer, Tim Hardin, Ravi Shankar, Melanie Safka, Arlo Guthrie e Joan Baez

Gli artisti sul palco il secondo giorno

Il secondo giorno, il 16 agosto, il concerto è stato animato da Quill, Keef Hartley Band, Santana, Canned Heat, Mountain, Janis Joplin & The Kozmic Blues Band, Sly & the Family Stone, Grateful Dead, Creedence Clearwater Revival, The Who e Jefferson Airplaine.

Le ultime due giornate

Infine, nelle ultime due giornate del 17 e 18 agosto del 1969 salirono sul palco The Grease Band, Joe Cocker, Country Joe and the Fish, Ten Years After, The Band, Blood Sweat & Tears, Johnny Winter e Crosby, Stills, Nash & Young, Paul Butterfield Blues Band, Sha-Na-Na e Jimi Hendrix.

I grandi assenti a WoodStock, furono: I Led Zeppelin, Simon and Gardfunker, John Lennon e Yoko Ono, Jim Morrison & The Doors.

Un’altra curiosità fu che in quei giorni morirono due persone: una ragazza per overdose e un ragazzo che fu travolto da un trattore perchè stava dormendo accanto ai sacchi della spazzatura ed il conducente non riuscì a vederlo in tempo.

Per quanto riguarda i nati, si sa che ci sono state anche delle nascite ma non si ha il numero generale di chi è venuto al mondo proprio in quei tre giorni, di musica, amore e sballo. Dei concepiti il numero è sicuramente infinito.

Nella percezione del pubblico tutto era rock”, scrivono Ernesto Assante e Gino Castaldo in “Blues, Rock, Jazz, Pop”.

Lo erano i tamburi latinoamericani di Jose ‘Chepito’ Areas, il microfono roteante di Roger Daltrey, il folk di Joan Baez e il blues straziante di Janis Joplin. Sembrava fosse rock persino il sitar di Ravi Shankar.

E neanche la pioggia, il fango e l’elettricità che si disperdevano nell’aria a causa delle strumentazioni e dei macchinari danneggiati dall’acqua, riuscirono ad interrompere quei tre giorni di pace, amore e musica.

Era tutta un’illusione, una sorta di costante alienazione totale da una realtà costellata da guerre e conflitti, bombe atomiche promesse e mai gettate, paure e timori contro cui si stagliavano i maggiori rappresentanti di quel cambiamento voluto e, in un certo senso, vissuto, come un appello alla comunità mondiale intera la cui voce somigliava a quella di Joe Cocker che, pareva urlasse cantando “With A Little Help From My Friends”.

L’iconico inno

L’ultimo ad esibirsi con “solo” 30.000 persone rimaste soppravvissute a quella che era stata una sorta di campo di battaglia in musica, fu Jimi Hendrix:  attaccò con la sua Fender Stratocaster una distorta e allungata versione dell’inno americano, sporcando la sequenza melodica fino a trasformarla nei lugubri e devastanti suoni di un bombardamento. La bandiera degli Stati Uniti si sfaldava nel sangue dei caduti in Vietnam, degli attentati di qualche settimana prima. I sogni del modello americano crollavano in un abisso di orrore e terrore.

Mai il rock e i suoi profeti avevano osato tanto. E mai come allora la musica non fu solo musica, ma un messaggio ben preciso che trascendeva da tutta quell’esaltazione generale, che sicuramente pareva un esagerazione della libertà. La stessa esagerazione che la politica ed il classismo sociale alimentava, a sua volta di fronte ai “poveri ragazzi di strada” che però si sapevano adattare al mondo molto meglio di chiunque altro.

La tragedia era conclusa, l’atto di accusa alla politica, e alla società in generale era finalmente compiuto. Ma in quelle performance c’era anche la sofferta ma piena consapevolezza che qualcosa stava rapidamente tramontando. Non ci è dato ancora sapere se si trattasse di un bene o di un male; sicuramente il bisogno del drammatico, d’amore e di libertà di questi giovani figli dei fiori, è una delle motivazioni per la quale “Woodstock” non fu solo un semplice concerto.

L’amore e Woodstock raccontati in uno scatto

fonte foto: rollingstone.it

Una peculiarità di questo grande evento, all’ombra delle tante contraddizioni e dei tanti commenti negativi ce la racconta la storia di Nick e Bobbi, che erano presenti al concerto, con una relazione di soli tre mesi alle spalle.

Nei loro pensieri, probabilmente, si era già fatto strada il pensiero che stavano assistendo a qualcosa che sarebbe stato intramontabile anche negli anni a venire. Immortalati dall’obiettivo del fotoreporter Burke Uzzle in un abbraccio di primo mattino, stretti in una coperta trovata per caso.

Un’immagine che qualche mese dopo sarebbe diventata il simbolo di una “storia infinita” come la loro. L’anno scorso hanno festeggiato settant’anni di matrimonio.

Insomma Woodstock non è stato sicuramente solo un concerto, uno sballo, una sorta di rivalsa urlata e distorta di rivolte giovanili che avevano caratterizzato gli anni ’70.

E’ stata, soprattutto, una promessa, quella che la musica ha fatto a tutti noi: continuare a tenerci stretti e ancorati alla gioia, nonostante i drammi e le sofferenze che la vita ci mette sulla strada, in un  amore libero, senza fine, di quelli che ballano sul mondo, anche quando il mondo resta in silenzio.

 


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