In memoria di Jeff Buckley

In memoria di Jeff Buckley, nato il 17 novembre 1966 e scomparso prematuramente il 29 maggio 1997, vogliamo ricordare la sua brevissima ma intensa carriera, che lo ha reso uno dei più grandi artisti di sempre.

Nato ad Anaheim, in California, Jeffrey Scott Buckley scoprì già durante l’infanzia e l’adolescenza che la musica era per lui qualcosa di vitale importanza; tra i suoi ascolti c’erano soprattutto i Led Zeppelin, i Queen, Jimi Hendrix e i Pink Floyd. Dopo una buona formazione musicale, Jeff forma la sua prima band a diciassette anni e, poco dopo, con un amico diede vita ai Gods and Monsters a New York, gruppo che tuttavia fallì quasi immediatamente a causa di dissidi interni. È cosi che Jeff Buckley intraprese la carriera da solista, facendosi conoscere attraverso vari concerti.

Jeff, figlio d’arte

Il suo nome non è nuovo nel panorama newyorkese, dato che il padre, Tim Buckley, era stato uno dei più grandi cantanti e compositori della storia del rock. Buckley senior aveva abbandonato la famiglia a poche settimane dalla nascita del figlio e morì per overdose a soli 28 anni, entrando nella leggenda e trascinando suo malgrado il primogenito verso una sorte simile.

“Grace”

Il primo (ed unico pubblicato in vita) capolavoro di Jeff Buckley è “Grace”, disco uscito nel 1994 che racchiude tutta la sensibilità e la premura che il giovane musicista metteva nella composizione dei suoi brani. I testi profondi attingono da diverse fonti di ispirazione: dai già citati Led Zeppelin, a Van Morrison, da Bob Dylan a Leonard Cohen, fino ad ispirarsi al padre stesso. Le molteplici influenze, così diverse tra loro, vengono tutte filtrate attraverso le sensazioni di un musicista pieno di fervore e di delicatezza al tempo stesso.

Celebre è la citazione della rivista Rolling Stone che definì l’album “a metà strada fra metallo e angeli”, infatti musicalmente l’album tocca diversi generi che vanno dal soul più leggero fino ai toni di un grunge più rabbioso e tormentato.

“Grace” risulta infatti un’opera davvero unica e variopinta di melodie, con brani che esaltano le doti vocali di Jeff, con uno stile che parte dal folk e poi sale sempre più di tono, in un crescendo drammatico e quasi spirituale. La stessa title track è un pezzo di struggente intensità, poi ci sono dolci ballate come “Lover” e inoltre non si può non citare la bellissima e appassionata cover di “Halleluja” di Leonard Cohen.

Dopo il successo di “Grace” Jeff Buckley iniziò a preparare il nuovo album “My sweetheart the drunk”, che uscì postumo in una versione incompleta. Jeffrey morì infatti tragicamente, annegato nel fiume Mississipi il 29 maggio 1997, dopo essersi recato lì con un amico con l’ingenuo intento di fare una nuotata.

Lui non ha potuto saperlo, ma il suo unico album è poi divenuto un vero e proprio cult e oggi è considerato un grande classico, che gli ha permesso di scrivere una fase significativa della storia della musica;  questo è un dato di fatto riconosciuto non solo dai fan, ma anche da tanti grandi musicisti. David Bowie ha detto una volta che “Grace”  è uno degli album che avrebbe portato con sé su un’isola deserta; mentre Bob Dylan definì Jeff uno dei migliori compositori al mondo.

Jeff Buckley è stato sicuramente una “meteora”  e ad oggi non abbiamo idea di cosa avrebbe potuto suonare quel talentuoso trentenne. Di certo c’è da dire che da allora in pochi hanno suonato come lui, con la sua stessa profondità,  anche se molti sono stati sicuramente ispirati dal suo operato.