“Il passerotto di Parigi”: il 10 ottobre 1963 ci lasciava Édith Piaf

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«Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien / Ni le bien qu’on m’a fait, ni le mal / Tout ça m’est bien égal»

 

Dietro la potente retorica di questi pochi versi, si nasconde tutto lo spirito artistico racchiuso nel corpo minuto di una voce indecifrabile e mutevole. “Il passerotto”, come veniva indentificata dall’argot parigino per la sua piccola statura, Édith Piaf forse passava inosservata quando, immersa nella irrefrenabile folla della vita mondana, attraversava la sua esistenza travagliata; ma nei momenti in cui dava voce alla sua arte, nessuno poteva esserne indifferente, si illuminava come un faro tra i marosi dell’umanità.

 

Nel 1960, quando interpretò la canzone composta da Charles Dumont, con le parole di Michel Vaucaire, “No, non rimpiango niente”, la cantante francese volle lasciare un messaggio al mondo, l’epilogo di una vita che, nonostante le tragiche sfumature, aveva vissuto con grande gioia senza – appunto – rimpiangere niente. Soltanto tre anni più tardi, il 10 ottobre 1963, la cantante francese ci lasciava, portando via con sé il fascino di una voce caleidoscopica che nessuno avrebbe mai dimenticato, ma anche lo sgomento di non aver mai carpito del tutto il senso profondo di un cantare tanto bello quanto inafferrabile.

 

Di madre livornese, Édith Giovanna Gassion nacque a Parigi il 19 dicembre 1915 e trascorse la prima parte della sua infanzia nella miseria del quartiere di Belleville. Successivamente si trasferì in un bordello della Normandia e la sua esistenza fu segnata dall’alcol e dall’uso di droghe e da storie travagliate, un modus vivendi che rappresentò appieno il riflesso del suo successo artistico, capace di alternare toni aggressivi e acidi a cadenze dolci e venate di tenerezza, esplodendo in un savoire faire indomabile e gioviale.  

 

Grande interprete della Chanson realiste tra gli anni ’30 e ‘60, seppe meglio di altri esprimere il senso di inquietudine e il desiderio di ribellione che opprimevano la società parigina tra le due guerre, in particolar modo quella dei quartieri popolari della capitale: prigionieri della loro miseria e delle forti passioni amorose, i protagonisti delle sue opere davano colore e attenzione a un anfratto del mondo spesso dimenticato.

 

“Piaf”: così definita in maniera criptica dal gruppo sociale di professionisti della musica francese, nel 1935 si presentò al suo debutto in abito nero fatto a maglia, priva delle maniche perché incompiute. Attraverso rapporti instabili con i vari impresari che fecero parte della sua vita professionale, e provata dalle turbolente relazioni personali, con la sua voce “il passerotto” spianò la propria strada verso il successo, approdando anche al cinema. Malgrado le tante sofferenze, “L’ugola insanguinata” fu sempre dipinta come una personalità solare, estroversa, dinamica, profondamente erudita e sensibile. Conquistò il pubblico francese con Le vagabond, Le chasseur de l’hôtel, Les histoires du coeur; recitò in molti film, tra i quali Milord, Les amantes d’un jour, La vie en rose, che ebbe sempre un significato molto forte per lei. La sua fama arrivò anche negli USA, ma non venne accolta con grande entusiasmo, perché non venne capita.  

 

A 57 anni dalla sua morte, ancora oggi, in televisione o nel breve scorcio di un film che attraversa Parigi, si sentono quei versi malinconici, interpretati da una voce ammaliante che plasma una sofferenza interiore. Tutti trovano una familiarità recondita e remota in quelle parole, ci immaginiamo di essere in Francia, attraversare le strade lastricate toccando i sampietrini irregolari, ascoltare il suono di una fisarmonica e vedere la Tour Eiffel. Ci pare di conoscere quel mondo che forse non abbiamo ancora visitato, ne abbiamo l’illusione, ma una realtà ci avvolge: Quella melodia ci trasmette lo sgomento e la resilienza di un’umanità che lotta ogni giorno. E già ci figuriamo di afferrare quella sensazione, perché in fondo è qualcosa che ci appartiene, in un modo o nell’altro. E quindi diciamo, senza dirlo: “No, niente di niente. No, non rimpiango niente. Né il bene che mi è stato fatto, né il male. Per me è lo stesso”.


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