La crisi finanziaria del 2008, le guerre mediorientali e la recente pandemia da coronavirus secondo il nostro buon Dio non furono sufficienti a punirci per tutte le volte in cui accendemmo la fotocamera del nostro smartphone ai concerti, dimenticandoci di assaporare il momento per custodirlo eternamente negli scrigni della memoria. No, Dio valutò altri contrappassi. Forse considerandoci traditori, forse per suo anticotestamentario spirito vendicativo, ci inviò la trap music.
Li odi(i), i trapper, mentre sorseggi la tua fottutissima Peroni dopo l’ennesima giornata no, nelle loro auto, con lo stereo a palla a inondare di bruttezza il circondario. Perché, è risaputo, la bruttezza distruggerà il mondo, e mala tempora currunt. Provate a chiedere ad un under trentacinque cosa ascolti e se, soprattutto, conosca altri generi musicali. Silenzio, assordante. Ed il problema non è semplicemente l’ignoranza quanto la giustificazione comune: “Le nuove generazioni ascoltano solo la trap. Gli altri generi sono vecchi”.
Le origini della trap
Sottogenere hip hop nato nel sud degli Stati Uniti d’America, la trap si distingue fin dagli albori per non trasmettere una beata ceppa. In questo sì, ci vuole arte. Lo scopo d’un trapper è crearsi un’immagine tramite il testo, fingendosi drogato e alcolizzato. Sì, perché costoro non hanno mai avuto i postumi di una sbornia quindi reputano “figo bro yo” lo stato d’alterazione di noi umili bevitori seriali che, da sempre, sogliamo farci la nostra bottigliella quotidiana nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito non necessariamente Santo. Negli USA, si tatuano la lacrima sul viso e si tingono i capelli rosa; in Italia la situazione è ben più tragica.
In Italia, bro, in Italia
Nella terra dello stile melismatico dei canti gregoriani, di Giovanni Pierluigi da Palestrina, dell‘Orfeo di Claudio Monteverdi, de “La campanella” di Niccolò Paganini, della novecentesca musica popolare meridionale scevra di forme strofiche e colma di esecuzioni solistiche, della musica settentrionale priva di melismi ed emissioni vocali particolarmente varie, un bel dì del 2011, tal Gue Pequeno, un tempo rapper dei Club Dogo, aprì le fila a questo miscuglio di “suoni” tenuti assieme dall’auto-tune, un aggeggio che serve a rendere intonato pure me sotto alla doccia. Alla faccia di Freddie Mercury, Axl Rose, e persino Nino D’Angelo.
Poi venne Sfera Ebbasta. In fondo Dio si accanì sull’Egitto con le cavallette per molto meno, figuriamoci se c’avrebbe mai perdonato di avere fatto morire il rock. Che poi non fu colpa nostra: qualcuno trovi Axl e gli faccia ritirare ‘Chinese Democracy’. Ora. Perché ieri ho pigiato on sullo stereo e ho udito anche tal Miss Keta. “Sono Giovanna Hardcore/ vado nel parco col cavallo/ se mi guardi scocca un dardo”. Parole toccanti e forti. Soprattutto se udite a volume alto. Linguisticamente, manco lei sa cos’abbia detto.
Dopo il disimpegno della disco music v’inventaste l’hip-hop. Ci sta. Poi venne il rap che, stilisticamente, ha poco da dividere con Mozart o November Rain, ma si fonda comunque sull’abilità della rima e la poetica strofa, quindi sì, di certo non vi contesto 50 Cent, Eminem né il romano Cranio Randagio.
Ma con la trap no… A causa della trap, avete condannato le nuove generazioni a dimenticare la musica. Uditeli: “Yo bro”, “Ciao frate’”, “Noi della gang”. I selfie con le corna – che, per inciso, erano di Dio. Il cantante – le frasi da cattivoni, i tatuaggi sul collo e sulle mani perché son tutti narcotrafficanti, sebbene pascolino le pecore italiane, il capello sempre rasato, e l’orecchino in stile Costantino Vitagliano.
Quindi non solo c’ha condannato alla musica di basso livello, ma vorrebbe farci vestire anche da dementi tra risvoltini anti-alluvione, scarpe iper-costosa, e cafonissimi rolex al polso ovviamente tarocchi. Dunque, oh nostro Signore che sei nei cieli, ascoltami: noi ti domandiamo perdono dal profondo del nostro cuore. Spegneremo i telefonini ai concerti, non posteremo più alcuna nostro fotografia alla ricerca spasmodica di like e fermeremo gli esperimenti musicali di Axl. Ma, te lo giuro, ci impegneremo a far riappacificare Roger Waters e David Gilmour ché – abbiam recepito la lezione – “una vita senza musica non è meritevole d’esser vissuta”.