Primo premio Nobel donna per la letteratura. Partecipante, per certi versi, alla corrente del verismo. Acclamata non solo in Italia, ma anche in Europa. La sarda Grazia Deledda entra a pieni voti tra gli scrittori più acclamati e conosciuti del ‘900.
Nasce a Nuoro nel 1871 in una famiglia benestante che le permette di seguire gli studi privatamente, con lezioni soprattutto di italiano, latino e francese. Fin da subito sente la necessità di dare sfogo a ciò che più desidera. La scrittura è ciò che le sta a cuore, ma deve scontrarsi con la società chiusa del suo paese, che vede un unico destino per la donna, quello tra casa e figli. Nei suoi primi anni da scrittrice entra in contatto con lo storico Enrico Costa, che ne comprende il talento. Nel 1888 vengono pubblicati alcuni suoi racconti su una rivista di Roma “L’ultima moda”, inizia così la sua ascesa al successo e seguita da alcuni romanzi a puntate pubblicati anche in altri giornali.
“Noi siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi,
romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.
Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono
sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.
Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo,
lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.
Siamo il regno ininterrotto del lentisco,
delle onde che ruscellano i graniti antichi,
della rosa canina,
del vento, dell’immensità del mare.
Siamo una terra antica di lunghi silenzi,
di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.
Noi siamo sardi.”
Nel 1900 si sposa e si trasferisce per un periodo a Roma, ha due figli e continua, nonostante la sua fama stia crescendo notevolmente, a vivere una vita appartata. Pubblica tantissimi romanzi e opere teatrali, alcuni dei quali vengono apprezzati da Giovanni Verga. Diviene anche traduttrice per un testo di Honorè de Balzac. Nel 1926 vince il Premio Nobel per la letteratura, confermandosi come prima donna italiana ad averlo ricevuto. Di lei dicono essere una potente scrittrice, con un elevato ideale che ritrae la vita della sua appartata isola natale, con profondità e calore.
I suoi compaesani, però, non sono dello stesso pensiero, credono che la Deledda li abbia in qualche modo traditi, denunciando una società chiusa, con tradizioni, per quanto affascinanti, ormai sorpassate. Molti la definiscono una scrittrice da “esportazione”, una scrittrice che non si avvicina alla vera e propria letteratura sarda, nonostante i suoi testi parlino principalmente della Sardegna stessa. La Deledda scrive in italiano, snaturando ciò che i sardi sentono come più forte affermazione della loro identità: la lingua sarda.
Muore a causa di un tumore, nel 1936 a Roma lasciando la sua ultima opera, un’autobiografia, incompiuta. Viene seppellita lì fino al 1959, quando le sue spoglie vengono restituite alla sua città natale.
“Siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Siamo canne e la sorte è il vento.”
Grazia Deledda