La didattica ai tempi del Coronavirus: parola agli insegnanti.

Si parla molto in questi giorni di come e quando riaprire in sicurezza le scuole, di nuove assunzioni di personale, di investimenti. Nel frattempo, però, la protagonista è la didattica a distanza, introdotta repentinamente cambiando le abitudini e cambiando l’intero concetto di “scuola”. Come la stanno vivendo docenti e studenti? Ne abbiamo parlato con Arianna, professoressa di inglese al biennio di un istituto superiore.

 

La didattica a distanza per il professore: opportunità o ostacolo?

 

“Entrambi. È opportunità perché permette, se si vuole (anzi, quasi sempre si deve) di formarsi su dei nuovi modi di fare didattica che prima non si tenevano in considerazione, perché giudicati meno funzionali o meno facilmente utilizzabili, e ciò ha messo in discussione il modo in cui si lavora in classe. Anche tipi di attività diversi da quelli classici si sono, infatti, rivelati funzionali ed efficaci. È ostacolo perché la presenza fisica in classe non può essere sostituita da un computer: la comunicazione tende ad essere meno reale. Inoltre, le webcam spesso restano spente per facilitare la connessione, quindi non è assolutamente paragonabile alla situazione che si crea in classe. Insomma, nell’insieme la didattica a distanza risulta essere una bella sfida per noi docenti”.

 

La didattica a distanza per l’alunno, invece, si rivela opportunità o ostacolo?

 

“A livello di fruizione è più difficile considerarla come opportunità perché non tutti hanno accesso agli stessi mezzi per diversi motivi, che siano questioni sociali, o familiari, o anche semplicemente per la diversità degli strumenti utilizzati. Per gli alunni con difficoltà che avevano un supporto, come un insegnante sostegno in presenza o un educatore, mantenere a distanza lo stesso tipo di rapporto è difficile. Non userei le parole opportunità e ostacolo: se per i docenti la didattica a distanza significa più ore di lavoro davanti allo schermo e meno soddisfazione, per gli studenti, da quello che mi dicono, è una questione più complessa. All’inizio c’era entusiasmo e curiosità per questo tipo di didattica, poi col passare del tempo l’entusiasmo è calato si sono palesate tante difficoltà: da quelle “tecniche” di connessione, a quella di riuscire a seguire le lezioni. Per chi, infatti, non è ancora totalmente in grado di gestirsi autonomamente nello studio diventa tutto più arduo, soprattutto se non c’è l’appoggio e il supporto della famiglia. Spesso si fa più fatica perché manca il sostegno, il lavoro di gruppo o l’aiuto reciproco tra compagni, il fatto di essere seguiti e valutati dal docente in maniera costante”.

 

Qual è la giornata tipo di un docente in questo periodo?

 

“Si parte dalla progettazione delle lezioni: se il tempo dedicato alla ricerca dei materiali è circa lo stesso di quello necessario per una lezione in classe, bisogna però considerare le modalità con cui rendere una lezione interattiva con i mezzi che si hanno, in modo che sia chiara ed efficace. Si tratta quindi di come applicare gli strumenti a disposizione. Mi sembra che il tempo delle lezioni online voli, certo se ne perde un po’ tra la connessione, la verifica delle presenze, il chiedere ai ragazzi come stanno: è molto importante anche questo! Per quanto riguarda invece la correzione, per alcune attività si riesce a svolgere durante la video lezione o tramite caricamento di file con soluzione, mentre una correzione singola per ogni alunno richiede più tempo. Il feedback infatti non è più così immediato come quando si riesce a parlare di persona. Inoltre, è meno agevole correggere da uno schermo, per chi come me preferisce il supporto cartaceo”.  

 

Un vantaggio ed uno svantaggio delle lezioni in remoto?           

                               

“Un vantaggio è quello di non svegliarsi più così presto andare a scuola. Lo svantaggio è per chi vedeva nella scuola un momento di evasione, socialità, una parte felice o comunque importante della giornata. Con tutti gli annessi e connessi: dai lavori di gruppo alle amicizie tra i banchi. Manca il contatto sociale, umano: sembra una banalità, ma è il tessuto connettivo della scuola”.

 

Come immagini il futuro rientro in classe?

 

“Non saprei, la situazione non è ancora chiara da nessun punto di vista. Delle varie proposte che ho sentito per un rientro in sicurezza, nessuna sembra fattibile: non rientrare creerebbe difficoltà, soprattutto per chi inizierà un nuovo ciclo di studi, sia per i docenti che per gli alunni, che dovrebbero fare la reciproca conoscenza a distanza. Il programma è stato ridotto, insegnare a classi diverse da quelle precedenti significherà quindi un inizio piuttosto duro. Le classi inoltre sono sempre molto numerose, non credo sia possibile mantenere le distanze. Si potranno creare nuovi spazi, assumere un numero maggiore di docenti? C’è stata anche la proposta di gestire una parte delle classi in sede e una parte da remoto, ma bisogna considerare che sono esperienze completamente diverse”. 

 

Qual è la tua personale esperienza con la didattica a distanza?

 

“C’è una frase che mi piace molto: “Gli studenti non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere”. Abbiamo una sorta di indicazione su quante ore di videolezione fare per tenere conto di altre esigenze familiari o comunque per limitare le ore davanti a uno schermo. I contenuti quindi, i programmi da finire, ciò che insomma riempie il vaso, sono forse meno, ma non si può neanche chiedere di fare troppo da soli. I fuochi, invece, si fa fatica ad accenderli a distanza, ci vogliono competenze che non abbiamo e che si possono acquisire, forse, ma con una formazione specifica.

Ho un’animatrice digitale bravissima, avevamo già iniziato a utilizzare Google Suite e altri strumenti nella didattica in classe. Le occasioni di formazione spesso si limitano alla didattica frontale, e da questo punto di vista mi sono sentita un po’ limitata, perché la mia impressione è che le ore in cui conti la presenza dell’insegnante siano quelle in cui spiega qualcosa, mentre io mi impegno anche nel far interagire i ragazzi.

Ci sono anche studenti assolutamente non preparati, non abituati a questo tipo di didattica, che si presta molto per studi universitari ma per classi inferiori diventa più complessa, soprattutto per chi ancora non ha costruito il proprio metodo di studio”.