Chiara Insidioso Monda nel 2014 aveva 19 anni e viveva nello stesso condominio di suo padre, con il fidanzato Maurizio Falcioni di 35, a Casal Bernocchi, una frazione di Roma. Il padre, Maurizio, aveva tentato inutilmente di farle aprire gli occhi su una relazione che non gli sembrava equilibrata, e non solo per la differenza di età.
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Una aggressione brutale
Il 3 febbraio 2014, in mattinata, i fidanzati scendono nel locale caldaie dove si rifugiano quando vogliono stare un po’ da soli. Qualcosa va male e lui la picchia. Non è una novità che lui alzi le mani. A pranzo il padre si accorge che lei ha una ferita al naso ma finge di non vedere per non dare il via a nuove discussioni. Nel pomeriggio tornano nel seminterrato e riprendono a litigare. Falcioni la trascina anche in strada per mostrarle che c’è il suo amante che la cerca. Ma non c’è nessuno, come sempre. Tornano di sotto e riprende il litigio. Questa volta Falcioni non si ferma nemmeno dopo che Chiara perde i sensi. Quando si rende conto di aver esagerato si spaventa e chiede aiuto ai vicini perché il padre è andato al lavoro. Viene chiamato il 118. Chiara è già in coma e Falcioni viene arrestato.
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Il racconto del padre
Il padre viene avvisato dai carabinieri di raggiungere la figlia in ospedale ma non gli parlano della gravità delle sue condizioni. Lui capisce subito quello che deve essere successo e rimpiange di non aver detto nulla di quel segno sul viso della figlia. Scopre che è stata presa a calci, anche in testa, con le scarpe da lavoro indossate dal Falcioni. Il volto e il capo sono tumefatti e Chiara è in coma e ci resterà per undici mesi.
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Il processo
Il primo processo fu piuttosto breve in quanto Falcioni ricorse al rito abbreviato. Il 19 dicembre 2014 venne condannato a 20 anni per tentato omicidio pluriaggravato e maltrattamenti. Massimiliano Santaiti, legale dei genitori di Chiara la definì una sentenza esemplare. Certamente per un papà e una mamma che vedono la loro unica figlia ridotta a un corpo immobile che non reagisce a nessuno stimolo, non sembra sufficiente. Il 5 novembre 2015, in Appello, la condanna venne, però, ridotta a sedici anni.
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Il risveglio
Chiara ha riaperto gli occhi dopo dieci mesi di coma il 4 dicembre 2014. Gli amici credevano che presto sarebbe tornata in curva a tifare per la Lazio ma non fu così. In realtà dal coma allo stato vegetativo non cambia nulla. E’ uno stato di minima coscienza e lei apre gli occhi, segue le voci dei familiari e sorride in alcune occasioni. Dovrà passare del tempo prima che i genitori riescano a trovare il modo per comunicare con Chiara che riusciva a muovere solo le dita attraverso le quali mostrava la sua voglia di vivere e i suoi pensieri. Maurizio Insidioso Monda capirà che la figlia era ancora presente dentro quel corpo immobile solo a marzo 2015:
«Me ne stavo seduto al bordo del suo letto, qui, in ospedale. Chiara c’aveva la testa reclinata sulla spalla, fissava il vuoto… a un certo punto le ho messo l’iPad sotto la faccia, ho aperto il sito di Gazzetta e ho schiacciato play. Lazio-Torino, all’Olimpico. Primo tempo 0-0. Poi, a un quarto d’ora dalla fine, Anderson tira in porta e la butta dentro. E Chiara, che manco l’avevo capito che stesse guardando lo schermo, dopo avere visto il gol mi fa una smorfia, contenta. Come a dirmi: Ahó, avemo segnato, a papà».
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Il racconto della madre
Danielle Conjarts è la madre di Chiara e da quando ha visto la figlia in quel letto di ospedale ha deciso che sarebbe stata la sua voce. Ha scritto, con Cristiana Cimmino, il libro Fiore d’acciaio per raccontarne la storia. Questa ragazza, che oggi ha 28 anni e da 9 anni ha bisogno di assistenza continua e di una struttura che ne curi la riabilitazione, è un fiore che resiste nonostante tutto. Il comune non ha potuto fornire una abitazione adeguata alla sua condizione e il Falcioni, nullatenente, non ha dato alcun risarcimento per aiutare la famiglia. Scrive la madre:
“Chiara sconta una pena ben peggiore dell’uomo che l’ha condannata ad una vita che non sarà mai quella che poteva essere. Perché lei e le altre donne sopravvissute ai femminicidi non sono contemplate da nessuna normativa in questo Paese. Queste donne sembrano condannate a vivere, anche rese invalide come Chiara o sfregiate a vita come Filomena Palumbo, senza un adeguato risarcimento, un aiuto per il reinserimento sociale, nemmeno un’assistenza adeguata”.
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Una vita da ricostruire
Chiara è stata ricoverata per più di nove mesi al San Camillo dopo l’aggressione. In seguito al suo risveglio venne trasferita al Santa Lucia per un anno e mezzo e successivamente ancora a Casa Iride, una struttura che, però, non le può fornire la riabilitazione di cui necessita per tornare a vivere. Il 3 febbraio scorso il perito del tribunale ha dichiarato, infatti che
“Casa Iride è inadeguata alle sue condizioni cliniche e non favorisce i miglioramenti derivanti dalla socializzazione e dalla interazione con i suoi pari”.
Chiara non può essere trasferita in una struttura più adeguata ai suoi bisogni semplicemente perché non c’è e, se anche ci fosse, non potrebbe accoglierla in quanto Chiara ha già esaurito il periodo massimo di permanenza in struttura riabilitativa previsto dalle leggi regionali del Lazio. Secondo il giudice tutelare Chiara può tornare a casa, naturalmente con una assistenza h24.
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La reazione della famiglia
La madre di Chiara ha rilasciato una dichiarazione che ben spiega la situazione in cui si trova la figlia a Casa Iride:
“E’ una struttura eccellente per pazienti in stato vegetativo. Ma Chiara non è in stato vegetativo, è una donna sopravvissuta alla violenza. Sono 9 anni che non vede il mondo esterno e i suoi amici”.
Sono anni che la madre chiede una struttura che possa aiutare Chiara a recuperare capacità e competenze perse durante il coma perché oggi Chiara capisce tutto e vorrebbe alzarsi in piedi e comunicare ma non ci riesce da sola.
Di fronte alla decisione del giudice ora la madre si chiede cosa potranno fare. Nel Lazio è evidente la necessità di nuove strutture per pazienti come Chiara. Attualmente la legge prevede che dovrebbero essere dimessi dopo 9 mesi. Per Chiara è già stata fatta una eccezione ma sono tanti i pazienti per i quali 9 mesi non sono sufficienti. Sui social la madre di Chiara sta chiedendo un aiuto per risolvere la questione. Lei e il marito erano già separati ai tempi del fatto e oggi, purtroppo, sono divisi anche su come gestire la situazione della figlia tanto che è stato nominato un tutore esterno.
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Quando le donne si rivolgono alle forze dell’ordine si sentono spesso dire che se non c’è un referto medico importante non vale nemmeno la pena di fare una denuncia. Poi succedono fatti come quello di Chiara e viene spontaneo chiedersi se l’unico modo per avere giustizia non sia farsi ammazzare.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.