Nel cuore dell’Italia, in provincia de L’Aquila, ogni anno il 14 d’agosto si celebra un grande evento atteso e sentito da molti.
Scanno è la città teatro del Catenaccio, in dialetto locale detto Je Catenacce, manifestazione che attraverso una rievocazione storica mette in scena riti e consuetudini nuziali del 1706.
E come mai questo evento, narrato secondo il poemetto dello scrittore Romualdo Parente “Zu matremonio azz’uso”, si chiama “catenaccio”? Il significato è presto trovato e ha dentro di se una vena decisamente poetica.
Da tradizione la sposa viene accompagnata dapprima in chiesa e poi a casa del suo sposo accompagnata da un corteo nuziale. Questo gruppo di persone appresso alla sposa che simbolicamente la accompagnano in questi due passaggi fondamentali della vita e dell’atto di sposarsi, visto dall’alto sembra un catenaccio umano.
Insieme a questo, una serie di altri rituali vengono riproposti durante la rievocazione.
Scanno a L’Aquila e il Catenaccio
La danza della spallata è uno dei rituali rievocati il 14 agosto a Scanno per il Catenaccio. Questa danza è un accompagnamento per la sposa durante le su tappe, quella delle nozze e l’ingresso a casa del marito.
Fonte foto: ilcamminodabruzzo.it
Durante la rievocazione una coppia, e una soltanto, celebrerà il proprio matrimonio secondo gli antichi riti. Amici e parenti sfileranno dietro di loro, a coppie, secondo l’ordine di parentela e amicizia. Vestiranno costumi tradizionali della città di Scanno e le vie interessate dal corteo saranno addobbate da nastri colorati.
La sposa nel rituale del Catenaccio
Come in tutti i matrimoni, antichi o moderni, l’attenzione maggiore è posta alla sposa, la regina dell’evento.
Anche per il Catenaccio di Scanno il ruolo della sposa è assai importante soprattutto perché indossa il costume tradizionale molto particolare e spettacolare.
Michele Torcia nel 1792 scriveva nella sua opera intitolata “Saggio itinerario nazionale pel Paese de’ Peligni”:
La gonnella di panno è di tinta immarcescibile, paesana, è tagliata a guisa di “toga” o stola sino ai talloni, lavorata con le loro proprie mani. Viene ornata nel lembo da varie fasce posta l’una sopra all’altra di scarlatto o di vellutino in seta di color diverso da quello della toga. Le maniche strette nella parte superiore son guarnite di nocchettine di fettucce, in guisa d’un grandioso ricciato dall’omero al polso, di colore anche differente dal fondo del panno.
Le cuciture delle maniche sono ornate di liste di scarlatino o vellutino corrispondenti e legate insieme da un lavoro che con vocabolo paesano è detto “interlacci”. Il petto e la schiena della gonna sono parimente ornati con simile lavoro.
La pettina chiusa da due grappi di argento in forma delle “Bulle” antiche sul petto, viene stretta sui fianchi da bottoni d’argento o pure da lacci di seta. Sotto portano la vera “tunica” antica senza maniche, qui detta “casacca”: coprono le gambe con calzettedi panno blù o verde, ricamate in oro od in seta, e i piedi con pianelle o sian “pantofole” coverte di raso di color diverso dal fondo, e ricamate in oro o in argento.
La testa viene coverta da un fasciatojo di saja blò, da esse tessuto con varii fili ed intrecciati ricami in seta, degni d’Aracne. Il fasciatojo sta legato da un “violetto”, cioè veletto sottile di bambagia intralciato con fili di seta di varii colori: e questo, ripiegato indietro e pendente a due code compisce un ornato ancor più grazioso che quello del turbante delle donne turche. Il ricamo del fasciatojo vien detto “rose strocche”, e il turbante “cappelletto”. Il “violetto” rappresenta la vitta e l’infula delle antiche sacerdotesse, e il cappelletto la “mitra”.
Le “circeglie” ornano i loro orecchi pendenti di oro in sottil filigrana o solidi di valore: il collo un laccetto o sia cateniglia dello stesso metallo di fino lavoro accompagnanti d’altri fili di “cannacchi” con crocifisso od altra immagine di santi, ed anche “collane” di “zecchini veneziani”. Le dite andavano cariche di anelli fini con pietre. A chiesa portano il rosario d’oro o d’argento.
La sposa è quindi vestita fisicamente e simbolicamente e diventa a tutti gli effetti il fulcro della festa.
A farla da padrone c’è il copricapo la cui originalità non è solamente dovuta alla sua forma bizzarra ma soprattutto al suo motivo ornamentale creato intrecciando i capelli – già acconciati in due trecce – con dei cordoni di seta colorati (“lacci”, in dialetto) al cappello.
Il copricapo è perfettamente tondeggiante e senza punte o visiere, possiede solamente una veletta pendente a due code e si portava inclinato a destra secondo l’uso arabo.
Il cappello copriva totalmente i capelli che erano raccolti in una “razziola”, una reticella di lino o seta sovente ornata da monete d’oro.
Questa vestizione è così particolare da aver da sempre attratto esperti e studiosi di folklore di tutto il mondo che son concordi nell’affermare che: “Scanno è il paradiso del folklore” e che “chi porta il vanto del costume d’Abruzzo è naturalmente Scanno”
La festa termina in Piazza della Madonna della Valle dove si balla la spallata, simile alla quadriglia, assaporando dolci tipici di Scanno.
Bergamasca, ma nomade per il nord d’Italia, classe 1989 e di professione navigo nel mondo del marketing e della comunicazione.
Mi contraddistinguo per la testa dura e la curiosità che mi portano ad interessarmi sempre a ciò che succede nel mondo. Amo l’arte in maniera viscerale, leggo sempre troppo poco per quanto vorrei, cucinare e camminare. Hermes mi da la possibilità di raccontarvi con le mie parole questi mondi e di portarvi a spasso con me.