“Non ero un pessimista cosmico ma un figo apocalittico” Giacomo Leopardi

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Benvenuti miei prodi, in una nuova pasticcotta letteraria, dove affonderemo il nostro sguardo nelle opere del nostro caro e amato Giacomino Leolino Leopardi. L’uomo dai piu’ riconosciuto come pessimista cosmico, e dai lettori di Hermes Magazine, come un figo apocalittico. Ma ribadiamo alcuni concetti chiave del dolcissimo Giacomino:

Egli andava ben oltre il classico scrittore di romanzi e poesia. Al Poeta e allo scrittore si aggiunge infatti l’immenso amore per la filosofia: le sue opere sono tratte da profonde riflessioni sul senso dell’esistenza umana, che trovano variopinto sfogo in concetti chiave come quello del Pessimismo cosmico, che va analizzato, molto bene come pensiero, nella natura matrigna e nella ricerca costante del piacere.

Figlio del conte Monaldo Leopardi e della marchesa Adelaide Antici, il giovane Leolino mostrò sin da subito un’intelligenza e una propensione per le arti umanistiche ben al di sopra della media, tanto da essere considerato il secchione per eccellenza della classe, e con cotanta grazia, egli non se ne fece assolutamente cruccio. Infatti già all’età di nove anni scriveva in latino (in latino signori, ai tempi nostri abbiamo gente che fatica a mettere un “h”) e padroneggiava la metrica della poesia settecentesca come un giocoliere abile da piu’ di 100 anni. Quando era ancor poco più di un ragazzino cominciò a studiare filosofia, anziché sfogliare riviste erotiche, riuscendo, in pochissimo tempo, ad essere in grado di citare i classici a memoria, senza farsi troppi pipponi con i calendari di Belen. La potenza che spadroneggiava nella sua mente però andava di pari passo con quella del suo fisichino, che non era certo come quello di Hulk. Il povero Leopardi era, infatti, di salute cagionevole, e soffriva di una malattia ossea che dai sedici ai ventuno anni compromise irrimediabilmente il suo fisico, tanto da formare una coppia di vistose gobbe sulla sua schiena. Ma a quelli che gli chiedevano che cosa fossero quelle protuberanze sulla schiena rispondeva che altresì non era che “un astuccio per le sue ali”. Poeta fino all’osso, e molto piu ottimista di quanto i nostri professori ci facevano credere alle superiori.

Leopardi era anche un giovane gentleman tanto che nel 1830, di ritorno nella sua bella Firenze, si innamorò perdutamente di Fanny Targioni Tozzetti e cominciò a raccogliere per lei autografi di personaggi illustri, visto che ne faceva la collezione. Cioè, un vero tecnico luci, di quelli che ti fanno entrare gratis ad un concerto perchè hanno il pass gratuito, dopo venti ore di lavoro, solo per regalarlo alla loro amata. La stronza, però non si rese minimamente conto di quello che avrebbe potuto avere tra le mani, e nonostante l’impegno del povero Giacomino Leopoldino Leopardi, il suo folle amore non fu mai ricambiato (però gli autografi ti facevano comodo eh Fannuccia!!!).

Per quanto la nobildonna apprezzasse l’intelletto del poeta, non ne era attratta. E a quanto perviene ai giorni nostri, in una fitta corrispondenza con un’amica, ebbe a dire che il famoso letterato non curava molto la sua igiene, e stargli vicino non era un’esperienza molto piacevole. Insomma l’ha mollato perchè molto probabilmente non si faceva il bidè! Come i francesi. 

Eppure il nostro caro Leopardi, oltre che ad essere un dispensatore di autografi e biglietti gratis pur di far colpo, era un grandissimo scrittore. Di seguito vi lascio quattro opere conosciutissime che hanno fatto grande il poeta, non solo in Italia ma in tutto il mondo!

Lo Zibaldone (Il diario very secret di Giacomino)

Quando sei uno scrittore, di solito, ogni foglio è buono per appuntarsi qualsiasi cosa possa portare ispirazione, se sei un patito di cancelleria e quaderni di ogni genere allora è fatta. Lo Zibaldone, non è nient’altro che una serie di piu di 4000 e passa pagina che contenevano appunti, pensieri, riflessioni, scazzi, pare e mazzi del nostro caro Leopoldo Leopardi. Una riflessione tutta filosofeggiante del poeta che ci fa addentrare nei suoi pensieri, dandoci una visione a 360 gradi del suo pensiero su ogni cosa che lo circondava, dalla lumaca che aveva trovato da bambino, fino alla prima sigaretta fumata di nascosto con gli amici secchioni per fare i fighetti.

A Silvia

“Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea, negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi (…)”

La poesia dedicata a Teresa Fattorini (e non si capisce per quale motivo si sia trasformata in Silvia) è un componimento  pervaso dalla vaghezza e dal senso di indefinito che, per Leopardi sono parte integrante della sua poetica: non vi sono descrizioni, la figura femminile non presenta dettagli concreti. Vaga nell’aria come un civetta alla ricerca della notte piu’ oscura, ma in qualche modo, la solitudine del suo filare gli piace assai. Come le pippe che si faceva il nostro caro Giacomino, mentre la guardava fare il pullover per il suo ipotetico Chihuahua. Gli elementi fisici e realistici sono solo un punto di partenza: l’unico particolare concreto cui si accenna è lo sguardo ridente, luminoso e al tempo stesso pudico (ma molto sensual) della nostra Terry Silvia che ne sottolinea l’atteggiamento spensierato, felice ma anche riflessivo e pacato (chissà che leonessa era in altri contesti invece).

L’Infinito

” Sempre caro mi fu quest’ermo colle”

Per descrivere una poesia del genere e avere parola, devi saper padroneggiare la filosofia, ma quello che possiamo dire di questi versi è che rappresentano in tutto e per tutto, la poetica massima del nostro Giacomino. Ed il suo pensiero, perchè si tratta, pertanto, di un “infinito” che non ha nulla di trascendenziale, bensì fa parte del reale che si schiude verso l’immaginazione: i dati sensoriali concreti danno lo stimolo per andare oltre. Perchè Leopardi, sapeva davvero anadare oltre.

Il poeta, inizialmente, di fronte all’infinito spaziale e temporale prova sgomento, poi, nelle ultime parole decide corraggiosamente di annegarvici dolcemente: questa la dolcezza provocata dall’autoannullamento, quasi una morte simbolica, un’esperienza potente e, per certi versi, anche terribile, perché comporta la perdita della propria individualità. Ma che fa ricongiungere il nostro essere a quello che è l’immensità a volte cupa, a volte folle e a volte unica nella quale siamo costretti a vivere o a soppravvivere. 

Leopardi era un figo, prima di essere gobbo, perchè aveva aperto gli occhi. E aveva portato dentro di se tutto l’immenso del vivere, e questo,  non dimentichiamocelo mai!

Alla prossima pasticca, miei cari lettori!


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