Nata nel 1938 e cresciuta nel ghetto di Cracovia durante gli anni della invasione nazista, come tante altre bambine era magra, con gli occhi scuri. Nel ghetto il cibo era scarso, ma le malattie e la paura non mancavano. Roma Ligocka, però, aveva qualcosa di diverso dalle altre bambine: lei aveva un cappottino rosso.
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I “bambini nascosti”
La sua era la generazione dei “bambini nascosti”, ovvero dei ragazzini ebrei che durante l’Olocausto avevano meno di 14 anni e riuscirono, miracolosamente, ad arrivare alla fine della guerra ancora vivi. Con Roma Ligocka c’erano anche il cugino Roman Polanski, il regista, e Bronislaw Horowitz , il fotografo, con la sorella. Sopravvissero alle persecuzioni razziali e alla guerra che vide Cracovia messa a ferro e fuoco dai tedeschi.
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Da un orrore all’altro
Alla conclusione del conflitto, non fece quasi in tempo a rendersi conto di essere sfuggita a quell’orrore che si ritrovò ad affrontarne un altro: il comunismo.
All’inizio si entusiasmava per quei suoi principi egualitari, ma presto si ritrovò ad essere accusata dai nuovi compagni il fatto che era ebrea e gli ebrei avevano ucciso Cristo. Lei non capiva come potessero attribuirle quella colpa per il semplice fatto di essere nata in una famiglia ebrea.
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La scrittura aiuta ad affrontare i ricordi
Roma Ligocka riuscì, comunque, a superare anche quella prova che la vita le aveva posto dinnanzi ed iniziò a scrivere affermandosi come autrice di teatro. Questo e la pittura la aiutarono ad affrontare alcuni brutti ricordi che aveva relegato negli angoli più nascosti della memoria. Ma il suo pensiero le riportava spesso le immagini di quegli uomini con gli stivali che minacciavano quelli come lei e parlavano una lingua dura e fredda.
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Frammenti di ricordi
Ricordava una fuga continua per cercare un nascondiglio. Le prepotenze e i soprusi che, con le altre famiglie ebree, avevo dovuto subire da quegli uomini determinati a sterminarli in onore della razza ariana.
Rammentava anche che tutti gli ebrei dovevano portare il segno di identificazione, la Stella di David. Un’etichetta che li distingueva dagli altri e li rendeva immediatamente riconoscibili come merce fallata.
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Un popolo senza diritti
La sua gente non aveva diritti, e veniva tutta indirizzata lungo il triste cammino che portava verso i campi di concentramento, all’interno dei quali era sempre acceso il fuoco dei forni crematori.
Tutte queste esperienze non potevano che aver lasciato dei segni nella vita di Roma Ligocka, tanto da portarla a dipendere dagli psicofarmaci per affrontare la fatica di vivere. Le era rimasta dentro una inquietudine che le toglieva il sonno ma anche una sensibilità particolare dovuta a tutti i cambiamenti che aveva vissuto sulla sua pelle.
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Quando il passato ritorna
Ed ecco che una sera, alla prima del film Schindler’s List di Spielberg, girato nel ghetto di Cracovia, Roma si ritrovò davanti scene che lei aveva già vissuto. Immagini di angoscia, di lacrime, di gente che scappava e, all’improvviso, il volto di una bambina con enormi occhi neri e un cappottino rosso. Il cuore le mancò un battito e si riconobbe in quella bambina il cui cappotto era l’unica macchia di colore in mezzo al bianco e al nero usato per descrivere tutto l’orrore che la cattiveria umana aveva saputo produrre.
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La rinascita
Roma pianse a lungo. Quelle lacrime servirono a sciogliere il macigno, che ancora le pesava nel petto. Da quel momento iniziò la sua nuova vita. Dopo tanti anni di silenzio sul suo passato le parole sembravano sgorgare da sole, incontenibili. E così cominciò a scrivere la sua storia, di come con la madre stavano cercando di nascondersi per sfuggire al rastrellamento nel ghetto. Bussarono ad una porta per chiedere aiuto ed una donna, colpita dal colore del suo cappottino, la chiamò “piccola fragolina”. Doveva essere un rifugio per poco tempo ed invece le nascose per un anno e mezzo.
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La sua produzione letteraria, così come i suoi dipinti, non riguardò solo la fuga dai tedeschi ma anche della sua vita di giovane ebrea comunista con gli amori travagliati, le delusioni, i farmaci, il volo verso l’Occidente. Roma Ligocka ha parlato nei suoi libri di una vita difficile, ma comunque di una vita che lei si ostina tutt’oggi a vivere al suo meglio tra Monaco e Cracovia lasciandosi alle spalle tutti i ricordi più brutti. Mi piace sapere che c’è e vederla sorridere nelle foto che mette ogni tanto sul suo profilo Facebook. Una volta mi venne spontaneo salutarla scrivendole “Ciao bambina col cappottino rosso” e lei rispose al mio saluto. Fu un’emozione che conservo nel cuore.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.