Fonte foto: Wikipedia
“Nel disagio e nel dolore si trova la verità della vita.” (Eduardo De Filippo)
Potrebbe essere questa, forse, la citazione più appropriata per spiegare l’arte di Eduardo De Filippo, se avessimo a disposizione una sola frase. Ma il teatro di Eduardo era molto di più, e per fortuna c’è ancora tanto da dire.
Il teatro di Eduardo
Fortemente influenzato dallo stile del padre e dal teatro del grottesco di Luigi Chiarelli e soprattutto dalla caratterizzazione psicologica dei personaggi di Luigi Pirandello, Eduardo riesce a dare alle sue opere un’impronta personale che gli permetterà di divenire uno dei drammaturghi più celebri del Novecento.
Nessuno meglio di lui è riuscito infatti a rappresentare il disagio interiore che ha colpito la società italiana nel secondo dopoguerra, specie quella napoletana. Il dolore dell’individuo viene sviscerato nelle sue forme più tragiche, ma è al tempo stesso velato da una sapiente narrazione umoristica delle piccole scene della vita quotidiana. La riflessione amara, che si percepisce in ogni epilogo, è pessimistica soltanto in apparenza, poiché cova dentro di sé il desiderio del cambiamento, dell’andare oltre gli ostacoli contemporanei, superando le ingiustizie e i dissidi.
La solitudine e la sconfitta delle persone buone e il desiderio latente di combattere l’indifferenza e il male altrui (Natale in casa Cupiello), il rifiuto della guerra e del cinismo e dell’opportunismo che ne conseguono (Napoli milionaria), e l’importanza data alla famiglia quale nucleo essenziale della società e riflesso del suo cambiamento strutturale – dove si ritrova anche un inconscio desiderio di appagamento, derivante dalle complesse vicende che hanno riguardato la sua famiglia – sono tutti temi che vengono affrontati con innovazione e lungimiranza, attraverso il sottile equilibrio tra il tragico e il farsesco, dove il fine ultimo dei suoi lavori si riassume nella celebre frase “ha da passa’ a nuttata” (deve passare la notte): un augurio affinché il lungo periodo di travaglio (la notte) prima o poi abbia fine e l’umanità trovi la sua pace.
Alcune nozioni biografiche
Eduardo De Filippo nasce il 24 maggio 1900 da Eduardo Scarpetta – uno degli attori più famosi di fine Ottocento e inizio Novecento, specializzatosi nell’adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi, nonché autore della celebre commedia teatrale Miseria e nobiltà – e dalla sarta teatrale Luisa De Filippo. Nel 1914 entra a far parte della compagnia del fratellastro Vincenzo Scarpetta, dal quale acquisirà la severità e il rigore sul lavoro e nei rapporti con gli altri.
Nel 1917 si riunisce, sul palco, con i fratelli Tina e Peppino De Filippo, ma qualche anno più tardi viene chiamato alla leva, dove ha l’occasione di organizzare piccole rappresentazioni per i suoi commilitoni. È in questo periodo che matura la passione per il teatro e nel 1920 scrive la sua prima opera: Farmacia di turno, rappresentata dalla compagnia di Scarpetta. Due anni più tardi scrive Ho fatto il guaio? Riparerò!, che diventerà successivamente Uomo e galantuomo, una commedia nella quale sono presenti temi cardini dello stile eduardiano, quali la pazzia (vera o presunta) e il tradimento, di derivazione pirandelliana, rispetto al quale però in seguito acquisirà una natura differente.
I De Filippo
A partire dal 1927 Eduardo tenta di realizzare una sua compagnia, incontrando tuttavia numerose difficoltà. Nasce così la Compagnia Galdieri-De Filippo, prima esperienza in proprio di Eduardo, alla quale si uniranno anche i fratelli Tina e Peppino; in seguito viene chiamato dalla Compagnia Molinari, nella quale ha lavorato anche Totò, e nel 1931 fonda insieme ai fratelli la compagnia del Teatro umoristico “I De Filippo”.
Dopo la messa in scena di diverse opere a Napoli, a Roma e a Milano, il 25 dicembre dello stesso anno viene portato in scena, al Teatro Kursaal di Napoli, Natale in casa Cupiello. Il successo è tale da guadagnare il prolungamento del contratto con il suo impresario teatrale e imbastire un ampliamento dell’opera. Di questo periodo sono anche le opere: Sik-Sik, Quei figuri di trent’anni fa, Parlate al portiere, Una bella trovata, Noi siamo navigatori, Il thè delle cinque, Cuoco della mala cucina, quando andava di moda l’avanspettacolo.
La compagnia acquisisce un grande consenso ed Eduardo inizia a lavorare anche nel cinema con Tre uomini in frak di Mario Bonnard. L’incontro casuale con Luigi Pirandello gli dà la possibilità di lasciare Napoli e portare le sue opere in tutti i teatri italiani tra il 1943 e il 1944, periodo nel quale rompe il suo legame personale e professionale con il fratello, fondando così la nuova compagnia teatrale Il Teatro di Eduardo.
La vita privata, i dolori e le lotte
Eduardo spenderà tutta la sua vita per il teatro, sacrificando spesso gli affetti. Nella sua ultima comparsa in pubblico, nel 1984 al Teatro Antico di Taormina, stanco e tremante, esprime l’amore per il teatro condividendo il dolore di essere stato un padre assente, perché forse solo mostrando il dolore che si prova è possibile spiegare alcune rinunce.
Per lui il teatro è tutta la sua vita perché in esso vede la vera vita, e forse l’unica possibile, lontana dalle dispute con il fratello, dai lutti familiari e dagli amori più importanti (Dorothy Pennington, Thea Prandi e Isabella Quarantotti). È sul palco che trova la serenità per superare la scomparsa prematura di sua figlia Teresa, ed è sempre sul palco che riesce a capire e spiegare l’esistenza collettiva che lo circonda.
Eduardo non mette mai da parte le lotte politiche, come quella per la salvaguardia dei minori negli istituti di pena, e non dimentica Napoli, per la quale si batte affinché la città abbia un teatro stabile – nel 1948 acquista e ricostruisce con tutti suoi risparmi l’antico Teatro San Ferdinando – e venga data dignità alla lingua napoletana.
Le sue opere vengono rappresentate e tradotte in tutto il mondo, ed egli stesso viaggia e le mette in scena per assaporare da vicino l’affetto del pubblico. Nel 1963 gli viene conferito il Premio Feltrinelli per la rappresentazione de Il sindaco del rione Sanità e nel 1973 il Premio Pirandello per Gli esami non finiscono mai. Riceve due lauree honoris causa a Birmingham (1977) e a Roma (1980) e nel 1981 diviene Senatore a vita.
I fantasmi e le maschere
Eduardo vede nella finzione teatrale maggiore verità di quanto non ce ne sia nella vita reale. “Gli uomini non vivono nell’ ‘essere’, ma nell’ ‘avere’”; privi di identità, vengono considerati in base a cose materiali e non interiori. “I fantasmi non esistono. I fantasmi siamo noi, ridotti così dalla società che ci vuole ambigui, ci vuole lacerati, insieme bugiardi e sinceri, generosi e vili: delle maschere”.
Tutto quello che era la sua esistenza – e quello che non era – la si ritrova proprio alla fine, nelle sue ultime parole rivolte agli italiani nel teatro di Taormina: “È stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l’ho pagato… Anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato”.
Mi sono laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Napoli \”Federico II\” e in seguito ho realizzato varie esperienze di studio e di lavoro all’estero (Egitto, Francia, Spagna). Tornato in italia, ho inizato a specializzarmi nel settore della scrittura e dell’editoria. Dopo aver collaborato per un breve periodo con la casa editrice Einaudi, mi sono trasferito a Parigi, dove vivo tutt’ora. Al momento collaboro con la casa Editrice Italo Svevo Edizioni in qualità di Responsabile di progetti di coedizione internazionale, occupandomi di curare i rapporti con alcune case editrici francesi e di altri paesi europei ed extraeuropei. A partire dal mese di settembre 2020 scrivo per Hermes Magazine, di cui sono anche responsabile della sezione libri.