Chi è Eufrosina Cruz, attivista indigena

Così afferma Eufrosina Cruz Mendoza in un’intervista al The Woman Post:

Vengo da una mamma e un papà che la vita e le circostanze hanno negato loro la possibilità di andare a scuola. I miei genitori non sanno leggere o scrivere. Mia madre ha avuto dieci figli e io sono la prima a educare me stessa nella mia famiglia.

Nata nel 1979 a Santa Marìa Quiegolani, un villaggio situato nel Messico meridionale, più precisamente nello Stato di Oaxaca, è la prima donna indigena nella storia politica del suddetto territorio.

La sua storia è caratterizzata da una lunga lotta per l’uguaglianza di genere nella sua comunità e, in generale, in tutte le Nazioni indigene del Messico (e non solo). Scappando dal suo villaggio, studiando e laureandosi, ha potuto cambiare quella che a tutti gli effetti potremmo definire una mentalità retrograda.

Eufrosina Cruz

Fonte foto: donnemagazine.it

Sfuggire a una vita già segnata

Eufrosina Cruz nasce il 1° gennaio 1979 in un villaggio abitato dalla comunità indigena zapoteca, che storicamente è stata una delle più importanti dell’America precolombiana. Questa, per molto tempo, non ha dato molte possibilità alle donne: infatti, si sposavano molto presto (addirittura intorno ai 12 anni) con mariti che spesso venivano scelti dai loro stessi padri, facevano figli e badavano unicamente alla famiglia, alla casa e alla macinazione del mais.

La giustificazione dietro queste grandi limitazioni è sempre stata addotta alle tradizioni locali, difese dal Sistema de usos y costumbres, che di fatto tutela le comunità indigene attraverso una forma autogovernativa. Ne parleremo più avanti.

Comunque sia, la Cruz decise di lasciare il villaggio alla tenera età di 11 anni per poter inseguire il suo sogno: scoprire il mondo fuori dalla sua comunità, ma soprattutto istruirsi, imparare lo spagnolo e fare tesoro degli insegnamenti dei suoi maestri.

I miei genitori non sanno né leggere né scrivere. Le mie sorelle si sono sposate presto, secondo la volontà di mio padre, e hanno già avuto molti figli. Però non riesco ad attribuire la colpa di tutto questo ai miei genitori. Semplicemente credevano che fosse la cosa giusta. Io sono un’indigena e ho dovuto imparare la lingua con cui oggi comunico con tutti voi per poter capire quali fossero i miei diritti e i miei doveri.

L’impatto col nuovo mondo e le sue opportunità

Una volta uscita dal villaggio, per Eufrosina era inevitabile uno scontro con un mondo totalmente diverso e soprattutto discriminatorio nei confronti delle popolazioni indigene. Infatti, al The Woman Post la donna racconta di aver provato rabbia verso il mondo e il suo discriminare.

Tuttavia, si era resa subito conto che quella era una grandissima opportunità per lei e per tutte e tutti coloro che, solamente per il loro gruppo etnico, godevano (e godono ancora oggi) di minori diritti e di minori tutele. Non è un caso, infatti, che la cultura indigena sia stata usata per diverso tempo dalle autorità messicane come un pretesto per emanare leggi al fine di negare diritti umani alle popolazioni amerindie.

Così, la Cruz portò avanti i suoi studi mantenendosi con la vendita di frutta e gomme da masticare. Finì per laurearsi in contabilità, insegnò nelle comunità povere e fondò delle scuole superiori in alcune comunità indigene.

Eufrosina Cruz

Fonte: esnoticiahoy.com

Il ritorno nel suo villaggio e l’inizio della lotta

Una volta tornata a Santa Marìa Quiegolani, trovò che niente era cambiato da quando se n’era andata: le cariche dirigenziali erano ancora in mano agli uomini e sempre loro decidevano sulle vite delle donne, che hanno continuato a studiare quanto bastava, a sposarsi giovanissime e a vivere da mogli, madri e casalinghe.

Così, Eufrosina fece la scelta più rivoluzionaria che si potesse fare in un contesto sociale del genere: si candidò come sindaco. Gli organi di potere, convinti che nessuno avrebbe osato violare le tradizioni, la ammisero alle elezioni, ma con grande sorpresa furono costretti ad annullare tutto e far finta che nulla fosse successo, poiché la donna aveva effettivamente vinto. E la gente aveva osato violare le famigerate tradizioni.

Le donne non esistono qui. [loro] Sono state create per servire gli uomini, per prendersi cura dei bambini e per mangiare, ma non per governare!

L’ex sindaco di Santa Marìa Quiegolani, 2007

Da ciò scaturì una lunga ed accesa lotta da parte della Cruz, che intanto si rivolse alle autorità statali e a diverse associazioni per i diritti umani. Ottenne, dunque, un vasto consenso nazionale, che portò l’allora governatore di Oaxaca, Ulises Ruiz Ortiz, a visitare il piccolo villaggio chiedendo migliori condizioni di vita per le donne.

La nascita di QUIEGO e i primi grandi successi

Nel 2008, Eufrosina fondò l’associazione no-profit QUIEGO (Quieremos unir, integrando por la equidad y género) con lo scopo di sensibilizzare sulla situazione delle donne indigene e di combattere le ingiustizie che lei stessa aveva subìto. Il 6 dicembre dello stesso anno tenne un forum (il primo nella storia della regione) per discutere dell’importanza della figura femminile nello sviluppo della comunità e della necessità di rivedere i suoi diritti.

Mentre portava avanti il suo attivismo attraverso QUIEGO, l’anno successivo fu contattata da diversi partiti politici in vista delle elezioni della Camera Federale dei Deputati. Eufrosina rifiutò qualsiasi proposta esortando i medesimi partiti a cambiare la situazione femminile in tutte le comunità governate dalla tradizione.

Sempre nel 2009 fu modificato l’Articolo 25 della Costituzione di Oaxaca, in particolare il Paragrafo A, Sezione II, che da quel momento in poi recita:

La legge proteggerà e promuoverà le pratiche democratiche in tutte le comunità dello stato di Oaxaca, per l’elezione dei loro consigli comunali, nei termini stabiliti dall’articolo 2, paragrafo A, sezioni III e VII della Costituzione politica degli Stati Uniti messicani e 16 della Costituzione politica di Oaxaca; stabilirà meccanismi per garantire la piena e totale partecipazione delle donne a tali processi elettorali, e l’esercizio del loro diritto di voto ed essere votate su un piano di parità con gli uomini, e sanzionerà la loro violazione.

Eufrosina Cruz

Fonte foto: donnemagazine.it

Quando divenne la prima politica indigena

Mentre portava avanti la sua lotta per l’uguaglianza di genere nelle comunità indigene attraverso QUIEGO, che intanto si preparava a tenere il suo secondo forum nel novembre 2010, nello stesso anno Eufrosina era stata nominata come candidata al Congresso locale per il Partido Acciòn Nacional (PAN) che, insieme al Partido de la Revolución Democrática (PRD) e il Partido del Trabajo (PT) scelse Gabino Cué Monteagudo come governatore di Oaxaca.

Monteagudo vinse le elezioni e, dunque, la Cruz fu eletta come presidente del consiglio di amministrazione, diventando di fatto la prima donna indigena a presiedere il Congresso Statale di Oaxaca. Per non farci mancare nulla, sempre nel 2010 Eufrosina fu nominata coordinatrice degli affari indigeni del Comitato Esecutivo Nazionale del PAN.

Non riesco a colpevolizzare l’ambiente di povertà in cui sono cresciuta, colpevolizzo la povertà della mente. Perché quando una mente non è istruita ha paura di domandare e di decidere come vorrebbe le cose. Però quando una mente si apre capisce che cos’è la libertà, quali sono i diritti e i doveri che le spettano, senza rinnegare le proprie radici. Sono orgogliosa di essere indigena.

L’attività di Eufrosina Cruz non si è affatto fermata: infatti, ella ha continuato a lottare per i diritti delle donne indigene. Ha rappresentato per molti anni il Messico nelle conferenze su genere, sviluppo e leadership femminile dell’America latina. Addirittura, la rivista Forbes l’ha nominata tra le 100 donne più potenti del Messico nel 2016 e nel 2017. Sicuramente, la Cruz è diventata un modello per tutte le donne indigene che aspirano al successo in ambiti puramente maschili; la sua eredità è e sarà immensa.

Una parentesi sulle comunità indigene americane…

È una costante quella di trovare su ogni libro scolastico di storia che le civiltà antiche avessero un’organizzazione sociale in cui la figura maschile deteneva il potere assoluto tra sacerdoti, imperatori e guerrieri, mentre la donna tirava a campare restando in casa a badare al focolare domestico.

Non è escluso che parte delle nazioni indigene prima dell’arrivo dei conquistadores praticasse una forma di patriarcato ancestrale, ma non bisogna dimenticare che diverse erano (e sono ancora oggi) le comunità amerindie che non si riconoscevano in quest’organizzazione sociale. Gli Awà e gli Zo’é dell’Amazzonia sono da sempre delle tribù egualitarie che non fanno distinzione tra uomo e donna. Le donne Innu del Canada godevano di una notevole indipendenza, tanto che i missionari cattolici “si impegnarono duramente” per sradicare questa millenaria tradizione, in primis attraverso le famigerate scuole residenziali (o Factory Schools).

La cultura zapoteca, quella a cui appartiene Eufrosina Cruz, anticamente sembrava essere molto diversa da quella che è arrivata ad oggi: i ruoli di genere, piuttosto che posti l’uno al di sopra dell’altro, sembravano essere volti più alla reciproca complementarietà, condizione che di fatto permetteva a una donna di avere molte più possibilità rispetto ad oggi, anche per quanto riguarda la vita pubblica e il sistema giudiziario.

L’attuale assetto sociale che in questa comunità permette agli uomini di avere potere e controllo sulle donne sembra, dunque, essere una conseguenza delle influenze coloniali piuttosto che un sistema patriarcale già esistente che, con l’arrivo dei conquistadores, si è “fuso” con quello europeo.

Eufrosina Cruz

Fonte foto: ilmanifesto.it

…e sul Sistema de usos y costumbres

Si tratta di una forma di autogoverno che trova la sua applicazione in numerosi Municipi messicani abitati (e governati) da comunità indigene, e molti di questi sono proprio nello Stato di Oaxaca (circa 400). Questo sistema permette loro di poter regolamentare e, di fatto, tutelare gli usi, le consuetudini e l’identità di questi popoli nativi.

Sotto questo punto di vista, il Sistema de usos y costumbres è una buona cosa: fa sì che gli strascichi del colonialismo europeo non danneggino ancora lo stile di vita degli amerindi, che comunque viene tutt’ora minacciato. Può essere considerato una vittoria dell’indigenismo, corrente culturale volta all’apprezzamento e alla difesa dei popoli e delle culture indigeni.

Il problema deriva, infatti, dall’uso che se ne è fatto e che, molto probabilmente, se ne fa ancora oggi. Può continuare a legittimare un tessuto sociale che privilegi esclusivamente l’uomo e limiti il ruolo della donna, indipendentemente da che provenga da influenze coloniali o da eventuali sistemi maschilisti precolombiani, tanto da rendere persino la violenza domestica una pratica culturalmente accettata e dunque non denunciata alle autorità.

Non è un caso, infatti, che nello Stato del Chiapas (confinante fra l’altro con quello di Oaxaca) circa un terzo degli abitanti giustifichi le violenze, anche sessuali, affermando che avvengono per colpa delle donne stesse. Un dato allarmante sebbene il Chiapas sia al contempo uno Stato che prevede le pene più severe per qualsiasi abuso contro le donne: si rischiano fino a 20 anni di reclusione.

Il problema, oltre ad essere il silenzio, è anche la scusa degli usi e dei costumi, utilizzata per relegare la figura femminile entro le quattro mura e per permettere a dei mostri di poterla violare senza avere conseguenze penali.