Lea Garofolo è stata una testimone di giustizia italiana, uccisa nel 2009 per mano della ‘Ndrangheta a causa del suo tentativo di dissociarsi dal contesto criminale in cui si trovava.
La ‘Ndrangheta
Quando parliamo di ‘Nndrangheta intendiamo l’organizzazione mafiosa italiana che ha origini in Calabria, riconosciuta nel 2010, e inserita da allora nel codice penale. Nella sua regione di origine, essa aziona un condizionamento sociale ed economico su tutto il territorio e su tutti i tipi di attività: come dimostrano i fatti di cronaca, è purtroppo insidiata in ogni ambiente, compresi gli uffici pubblici e le istituzioni di riferimento.
Chi era Lea Garofalo
Quando Lea si innamora di Carlo Cosco ha solo tredici anni e poco dopo, ancora minorenne, decide di scappare con lui e per andarci a convivere. Questa storia inizia, quindi, come tante altre: due ragazzini che si amano e vogliono stare assieme contro tutto e tutti. Lea, però, non proviene da una famiglia qualsiasi. La sua è una famiglia mafiosa, di quelle che lavano il sangue con il sangue. Lei stessa lo ha infatti vissuto sulla sua pelle, in quanto orfana di padre dall’età di nove mesi proprio a causa di una vendetta tra cosche. Ciò non la demotiva, però, dallo scegliere come compagno proprio Carlo (anche lui ‘ndranghetista) e dal restare incinta, a soli diciassette anni, della figlia Denise.
Un destino che sembra già scritto, come quello delle tantissime donne calabresi che si ritrovano costrette in una fitta rete familiare fatta di violenze e soprusi ai danni del resto del mondo e di loro stesse.
Il coraggio di dire “NO”
Lea Garofalo però non ci sta. Dopo qualche tempo, forse spinta dall’amore per la figlia e dalla paura di farla crescere nello stesso contesto sociale di cui lei è stata vittima, decide di alzare la testa e opporsi. Per prima cosa, si reca in carcere da Cosco che nel frattempo è stato arrestato per i suoi traffici illeciti e gli comunica la volontà di andarsene: lo fa con fierezza, guardando negli occhi il compagno e accomiatandosi da lui in modo solenne. Dopodiché, si trasferisce al Nord con la figlia e prova a ricominciare.
La vita non è subito semplice e la famiglia cerca di richiamarla alle origini con metodi tutt’altro che leciti. È il fratello Floriano in particolare a non accettare la sua scelta, tanto da arrivare a bruciarle l’auto. Lei inizialmente vacilla, torna nel suo paesino, Petilia Policastro, e prova ad adattarsi. Floriano però la aggredisce ripetutamente e scappa di nuovo, decidendo finalmente di rivolgersi allo Stato.
Il percorso in salita dei testimoni di giustizia
La donna viene ammessa al programma di protezione nel 2002, dove rimane fino al 2006. Durante questi anni, prova più volte a denunciare la precarietà di chi si ritrova in questo tipo di circuito. Scrive addirittura una lettera al Presidente della Repubblica, lamentandosi di essere stata praticamente abbandonata dalle istituzioni, priva di una difesa legale valida, senza contatti con gli affetti e con grosse difficoltà di adattamento. Non è una storia nuova: molto spesso i collaboratori di giustizia si lamentano delle falle di un sistema che li aiuta solo a sopravvivere (e a volte nemmeno) e non a vivere dignitosamente. La conferma di ciò di cui stiamo parlando, arriva quando è lo stesso Stato ad estrometterla dal programma, in quanto ritenuta collaboratrice non attendibile.
Si tratta di una beffa che le costa cara. Dopo varie proteste e vari ricorsi, improvvisamente è la stessa Lea a decidere di uscire dall’apparato che dovrebbe tutelarla.
L’omicidio
Solo un mese dopo la sua scelta incauta, a maggio 2009, il compagno Carlo Cosco prova a rapirla. Il tentativo fallisce grazie all’intervento di Denise, ma nell’autunno Cosco ci riprova e, dopo averla convinta a vedersi per parlare della figlia, riesce a ucciderla. Insieme a diversi complici, trasporta il corpo in periferia e gli dà fuoco. Di lei verranno poi ritrovati solo frammenti ossei e i resti di una collana.
Vengono condannati in sei: Carlo, Vito e Giuseppe Cosco, Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino. La testimone chiave per l’inchiesta è proprio la figlia Denise, che con coraggio decide di deporre contro il padre. Purtroppo non c’è un lieto fine: il desiderio di riscatto e di giustizia è stato pagato con la vita.
I tributi alla vicenda sono numerosissimi: il 23 novembre scorso su Rai Uno è stato trasmesso Lea di Marco Tullio Giordana. In tutta Italia, inoltre, sono tantissime le città che hanno deciso di ricordare Lea Garofalo, la coraggiosa donna calabrese che ha deciso di dire “No”.
Giornalista, lettrice professionista, editor. Ho incanalato la mia passione per la scrittura a scuola e da allora non mi sono più fermata. Ho studiato Scrittura e Giornalismo culturale e, periodicamente, partecipo a corsi di tecnica narrativa per tenermi aggiornata.
Abito in Calabria e la posizione invidiabile di Ardore, il mio paese, mi fa iniziare la giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno.