Quando un teatro ospita uno spettacolo, deve contenere anche tutto ciò che è stato realizzato per la sua messa in scena. Questo significa che sul palco e dietro ad esso c’è molto più di quello che si pensa di ricordare. Spesso infatti i sensi dello spettatore vengono rapiti dalla rappresentazione in modo così intenso che tutto ciò che lo rende possibile sembra quasi ovvio che sia lì. Appare quasi comico, ma più il lavoro fatto a monte della rappresentazione è ben fatto e meno il fruitore tornando a casa ne avrà la piena consapevolezza.
Scenografia
Eppure determinare la scenografia è un atto estetico che una volta compiuto non prevede la possibilità di ripensamenti. Il lavoro che lo scenografo mette in atto è un vero e proprio percorso estetico che, attraverso la concretizzazione dell’idea, permette all’immaginario di sostare in un piano reale. Si tratta di un vero e proprio servizio prestato all’immaginifico al fine di servire il pubblico.
Questo delicato sistema deve, infatti, fare sempre i conti con la visione culturale collettiva e quindi con l’aspettativa simile, ma non univoca, di quel palcoscenico che ognuno di noi possiede nella propria mappa cognitiva. Ad ogni individuo corrisponde una visione diversa ma in qualche modo connessa alla visione socio culturale, di ogni singola cosa.
Fortunatamente tutte le arti che collaborano alla riuscita di uno spettacolo: architettura, scultura, pittura, sartoria, make-up. Hanno una propria indipendenza che permette allo scenografo di giocare con l’astrazione per creare un nuovo insieme organico, creato appositamente per quel dato spettacolo, all’interno del quale dissemina sapientemente briciole del sentire comune per aiutare lo spettatore.
Ma di cosa è fatta davvero una scenografia?
A comporre lo spazio scenografico concorrono le luci, lo spazio, gli oggetti e i costumi. Ognuna di queste parti è caratterizzata a sua volta dai colori, dalle ombre, dai volumi e dalle forme. L’insieme di queste caratteristiche è quello che veicola le idee e lo stato d’animo collettivo di chi guarda lo spettacolo. Non bisogna infatti tralasciare che è la fattura, ovvero l’insieme estetico della scenografia, a modificare lo spazio all’interno del teatro. E tutto questo non è che l’inizio, la parte più creativa, perché una volta deciso che la scenografia studiata funziona inizia la messa in opera della struttura scenica.
Gli artisti
Per non parlare poi degli attori che vanno a dare l’ultimo tocco, quello di connessione fra il mondo ideale dell’opera e gli spettatori.
Abbiamo la fortuna di avere, qui a condividere con noi la percezione, di chi il palco lo vive per lavoro, la giovane soprano Cristina Mosca. Cristina è un vero talento che grazie alla sua voce carica di tenacia e passione, a soli 28 anni è già in rapida ascesa.
Tanto che nel 2020, oltre a debuttare in RAI, lavora su La Voix Humaine come protagonista, parte che normalmente viene offerta a cantanti già in età matura.
Cristina ci racconta come scenografia, costumi e luci siano la parte che preferisce perché “Le luci e la scenografia fanno parte della geografia dello spettacolo e aiutano non solo nel movimento ma anche nella comprensione di quello che stai facendo. Trasportano direttamente nella dimensione registica e nella dimensione del personaggio. Mi piace accarezzare gli abiti che andrò a mettere, provarli per capire come indossarli per diventare il personaggio che dovrò interpretare. Personalmente mi trovo meglio quando abiti e scenografia sono affini all’epoca storica della rappresentazione. Questo perché in base a questi dettagli varia la gestualità che si può usare”.
Ma cosa fare e su cosa lavorare quando la scelta registica verte su una scenografia più moderna. In questo caso Cristina ci rivela che “si lavora sulla forza stessa del personaggio da interpretare dando spazio al proprio potere di immaginazione”.
Cristina ci spiega anche il suo sentire quando canta e di come “Quando provo un personaggio mi piace immedesimarmi in tutto, arrivando ad una dimensione quasi erotica. Indosso la sua pelle facendolo entrare nella vita reale, facendo attenzione però a non perdermi in lui. quando arrivo sulla scena porto, ad esempio: Cleopatra, Violetta o Edvige che diventa Cristina”
Da questo scorcio di intimità che ci è stato regalato è facile capire come anche chi ci offre l’interpretazione della rappresentazione si debba sentire a proprio agio e trovare in quello spazio scenografico la sua dimensione.
Il pubblico
Il pubblico, lasciamo sempre che sia Cristina a descrivercelo e ci dice che “è una parte fondamentale, si tratta dell’alimento dell’artista”. Un po’ come se gli artisti fossero il genio della lampada e il pubblico coloro i quali bramano di vedere lo spettacolo da ricordare.
Eco perché quando domando a Cristina che cosa prova quando il pubblico va via mi risponde “Provo sollievo, ma non perché sta andando via ma perché mi piace l’idea che chi ha assistito allo spettacolo torni a casa con la sua idea. Preferisco quando il pubblico ha una sua idea, quando porta l’opera a casa per ripensarla e riviverla in basa alla propria percezione. In pratica che l’esperienza del teatro rimanga anche un’esperienza catartica per il fruitore”.
Il vaso di Pandora
Ecco quindi che se il teatro è quello scrigno che tiene fisicamente al suo interno astanti e spettacolo, la scenografia è il vaso di Pandora che pur scoperchiato riesce a tenere lì, intorno a sé, le menti di tutti gli artisti in scena, di tutti gli spettatori e di tutti i tecnici; che lavorano affinché tutto sia sempre nel posto giusto al momento giusto.
La scenografia è quella dimensione in cui i movimenti, le parole e le note possono elevare il valore estetico della vita. È la polvere magica delle ali di fata che permette alla nostra capacità di immedesimazione di condividere e vivere quelle sensazioni delle quali Cristina ci ha parlato.
A me piace pensare che nel teatro vuoto, prima dell’arrivo di tutti i collaboratori dello spettacolo, ogni granello di polvere così come ogni fibra di tessuto, legno e stucchi, provino la stesse emozioni dell’attesa. Di quella specifica attesa di quando si è seduti in sale, le luci si spengono e il sipario, aprendosi, rende il teatro intero un unico momento di condivisione dell’arte: fatta, percepita e vissuta.
Perché, come Cristina in chiusura ci dice “Mi sono fermata a guardare il teatro vuoto, sia prima degli spettacoli che dopo e penso che oggi come oggi io possa rivolgergli un semplice arrivederci. Un arrivederci con la speranza che la situazione possa migliorare perché la presenza del pubblico è fondamentale e non credo che per il nostro mestiere lo streaming sia una soluzione giusta.” Ed è questa alchimia che solo le rappresentazioni dal vivo sanno dare che rendono pubblico, artisti e spazio scenico una cosa sola. Ed ecco perché nessuna di queste componenti deve mancare all’appello affinché la magia riesca.
Lavoro come grafica-creativa, illustratrice e content editor freelance.
Sono diplomata in grafica pubblicitaria e parallelamente ho studiato disegno e copia dal vero con Loredana Romeo.
Dopo il diploma ho frequentato beni culturali presso l’università di lettere e filosofia e parallelamente seguivo un corso di formatura artistica, restauro scultoreo e creazione ortesi per il trucco di scena.
A seguire l’Accademia Albertina di Belle Arti con indirizzo in grafica d’arte (che mi ha permesso di approfondire: disegno, illustrazione, incisione, fumetto).
Sono sempre stata interessata e assorbita dal mondo dell’arte in tutte le sue forme e dopo la prima personale nel 1999-2000 non ho mai smesso di interessarmi alle realtà che mi circondavano.
Nel 2007 ero co-fondatrice e presidente dell’Associazione Arte e Cultura Culturale Metamorfosi di Torino e in seguito ho continuato e continuo a collaborare con vari artisti e ad esporre.
L’amore per l’arte in tutte le sue forme, il portare avanti le credenze e le tradizioni familiari hanno fuso insieme nella mia mente in modo indissolubile: filosofia, letteratura, esoterismo, immagine e musica.