Fonte immagine copertina: Onda Rock
I Velvet Underground raccontati secondo lo stile di Todd Haynes: il regista americano ha infatti realizzato un cine – documentario sulla storica band che calcava i palchi della scena punk rock tra gli anni sessanta e gli anni settanta.
“The Velvet Underground” al Festival di Cannes
Il documentario presentato a Cannes è un bel tuffo nel passato della musica. È stato realizzato con cura ed è perfetto per i fan della band ma anche della Swinging London, ovvero della musica sperimentale e del sound unico nel suo genere di Lou Reed & co. Essa infatti è stata ispirata anche dall’incontro con Andy Warhol, che ha dato vita, nel 1967, a uno degli album più importanti della loro storia: «The Velvet Underground & Nico».
Seppur senza particolari scossoni artistici e con una forma fin troppo semplice e didascalica, il regista è riuscito nel suo intento facendo un lavoro davvero rigoroso, mostrando allo spettatore come il gruppo si sia evoluto e sia diventato un riferimento culturale, pur rappresentando un ventaglio infinito di contraddizioni in quell’epoca dettata da molti cambiamenti anche a livello sociale per tante generazione.
Il film spazia tra le interviste ai protagonisti con una ricca collezione di registrazioni degli stessi, fino ad arrivare alle performance live sul palco e collegamenti con altre opere d’arte sperimentali.
Il film di Haynes riesce comunque nel suo intento, suscitando nello spettatore anche un leggero filo di malinconia per un tempo irripetibile, sia per chi ha vissuto quegli anni sia per chi li ha visti soltanto sugli schermi o ascoltati tramite le canzoni dei Velvet Underground.
Per il regista non è il primo film nè la prima esperienza con il tema musicale in pellicola. Esso infatti è da sempre uno degli elementi principali del suo cinema : basti pensare a «Velvet Goldmine» (che velatamente si ispira alla vita del duca bianco David Bowie) e «Io non sono qui», magnifico (anti) biopic che decostruisce in maniera profonda e originalissima la carriera di un grandissimo Bob Dylan.
Mi chiamo Alessia, scrivo per difendermi, per proteggermi e per dare una mia visione del mondo, anche se in realtà io, una visuale su tutto quello che accade, non ce l’ho, e probabilmente non l’ho mai avuta. Ho paura di ritrovarmi e preferisco perdermi.
Culturalmente distante dal pensiero comune. Emotivamente sbagliata. Poeticamente scorretta. Fiore di loto, nel sentiero color glicine. Crisantemo all’occorrenza. Ho più paure che scuse. Mi limito a scrivere e leggere la vita. Mi piace abbracciare Biscotto, anche da lontano. Anche se per il mondo di oggi sembra tutto più difficile.
Scrivo per questo magazine da circa un anno. Ho pubblicato anche un libro ( ma non mi va di dire il titolo perché qualcuno penserebbe “pubblicità occulta”). Ho aperto un mio blog personale: “Il Libroletto” dove recensisco libri per passione.