Vanno, vengono, a volte ritornano, ma negli andirivieni della moda potete contare su di una certezza: il giubbino di pelle è un evergreen che non stancherà mai e che, in una versione o nell’altra, bisogna faccia parte del proprio guardaroba.
Corto, oversize, con vita stretta o larga, basic o accessoriato da borchie e fibbie, nero o dai colori più vari, il “chiodo” è ormai un classico intramontabile, per questo motivo rivisitato dai differenti stilisti se non ad ogni nuova stagione, quasi. Ma vi siete mai chiesti a quando risale la sua prima apparizione nell’universo fashion?
Giubbino di pelle: le origini
L’invenzione dell’iconico giacchino in pelle viene comunemente attribuita ad un asso dell’aviazione tedesca, tal Manfred von Richthofen (meglio conosciuto come nientepopodimeno che il Barone Rosso), e in effetti il primo nome con cui il capo di abbigliamento ha fatto il suo ingresso nel mondo della moda è quello di flying jacket. Già nel 1910 una donna si appropria di questo versatile capo e posa in una foto, fiera al volante del suo aereo: è la pioniera dell’aeronautica Marie Mavient.
Un’altra categoria di piloti però contribuisce in misura ancor maggior al successo del giubbino in pelle: i motociclisti.
Due i passaggi fondamentali nella sua ascesa: il primo, nel 1905, a Londra, dove la campagna pubblicitaria per l’apertura del negozio Allweathers sfoggiava sul suo poster una modella in corsetto bianco in pizzo, pantaloni, stivali da motociclista, chiodo e lo slogan “Leather motor clothing for ladies”; il secondo, successivo di qualche anno, nel 1913, dall’altra parte dell’oceano, in un piccolo negozio del Lower East Side di New York.
Si trattava della bottega di Irving Schott, che insieme al fratello Jack, iniziava in quel periodo a fabbricare a mano dei capi in pelle, tra cui la mitica giacchetta con le zip che brevettarono nel 1928 sotto il nome di Perfecto. L’introduzione della cerniera, il fatto che fosse realizzato cucendo insieme i migliori pellami e che proteggesse dal caldo e dal freddo ne ha fatto subito un must-have per i bikers dell’epoca, complice l’aiuto della distribuzione Long Island per Harley Davidson.
Il modello originale, il 613 One Star, raggiunge l’apice della fama negli anni ‘50 grazie a Marlon Brando con il film “Il selvaggio” (1953) e James Dean in “Gioventù bruciata” (1955), mentre venti anni prima Marlene Dietrich aveva contribuito a renderlo un capo ultra femminile.
Marlene Dietrich con il giubbino di pelle Fonte foto: waitfashion.com
Giubbino di pelle: i fan celebri
Non solo i divi di Hollywood adorarono e adottarono fin da subito il giubbotto in pelle: anche cantanti e artisti in generale non furono da meno nel cedere al suo fascino.
Primo tra tutti, Elvis, che si presentò sul palco con un Perfecto 618, identico a quello di Marlon Brando ma senza stelline sulle spalline (come nel modello 613) e aprì la strada a tutta una generazione di rocker successivi, che lo indossano in combinazione con maglietta bianca e ciuffo a banana.
Gli anni ’60 vedono affievolirsi il monopolio della Schott e la comparsa di altri modelli sul mercato. Tra i fan del mitico giubbino in pelle, si annoverano Keith Richards e Mick Jagger, nonché Andy Warhol, che sfodera rivisitazioni iper-originali grazie all’opera dei vari artisti suoi amici.
La vera età d’oro per la leather jacket sono però gli anni ’70, periodo in cui entra nelle case di ogni telespettatore che assista ad una puntata di Happy Days, essendo praticamente l’uniforme di Arthur Fonzarelli (più noto come Fonzie), che non se ne separa mai.
Fonzie con il suo mitico giubbino di pelle Fonte foto: worldwideinterweb.com
Non solo il piccolo schermo vede il chiodo come gran protagonista: il giubbino in pelle è un must per tutta la generazione punk-rock, da Sid Vicious ai Led Zeppelin, ai Ramones, al boss che lo immortala nella copertina cult di Born to Run. Vivienne Westwood e Malcom MacLaren contribuiscono a renderlo ancora più iconico, e ormai, con gli anni ’80 e la versione in pelle rossa di Michael Jackson, non c’è “ribelle” che si rispetti che non ne abbia almeno una volta indossato un modello, più o meno fedele all’originale.
Freddy Mercury, Madonna in Papa don’t preach, il George Michael di Faith, John Travolta & Olivia Newton-John in Grease, Bono, Debbie Harry, Billy Idol. E poi Arnold Schwarzenegger in Terminator, Cher, Tina Turner, Johnny Depp, Kate Moss, e chi più ne ha più ne metta, fino ad arrivare ai giorni nostri, con influencer e it-girl come Gigi Hadid, Kendall Jenner, Cara Delevingne e Alexa Chung, che lo abbinano con stile ad ogni tipo di outfit.
Le varie versioni attuali del giubbino di pelle Fonte foto: iodonna.it
Ricamato, color pastello, abbinato a gonne, casual o elegante, il chiodo (chiamato così solo in Italia, dove le borchie con cui è ornato si possono anche definire “chiodi a piramide”) è insomma un evergreen che non può mancare nel vostro armadio, se avete almeno un po’ a cuore il lato fashion della vita!
Scrivo da sempre. Da quando ancora non sapevo farlo, e scrivevo segni magici sulle tende di mia nonna, che non sembrava particolarmente apprezzare. Da quando mio nonno mi faceva sedere con lui sul lettone, per insegnarmi a decifrare quei segni magici, e intanto recitava le parole scritte da altri, e a me sembravano suoni incantati, misteriosi custodi di segreti affascinanti e impenetrabili, che forse, un giorno lontano, sarei riuscita a comprendere e che, per il momento, mi limitavo ad assaporare sognante. Sogno ancora, tantissimo, e nel frattempo scrivo. Più che posso, ogni volta che posso, su ogni cosa mi appassioni, mi incuriosisca o, più semplicemente, mi venga incontro, magari suggerita da altri.
Scrivo per Hermes Magazine e per altri siti, su vari argomenti, genericamente raggruppabili sotto il termine di “cultura“. Scrivo anche racconti, favole, un blog che piano piano prende forma, un libro che l’ha presa da un po’ e mi è servito a continuare a ridere anche quando tutti intorno a me sembravano impazzire (lo trovate ancora su Amazon, mai fosse vogliate darmi una mano a non smettere di sognare).
Scrivo perché vorrei vivere facendolo ma scriverò sempre perché non riesco a vivere senza farlo.
Scrivo perché, come da bambina, sono affascinata dal potere di questi segni magici che si trasformano in immagini, in pensieri, in storie. E, come da bambina, sogno di possedere quella magia che permette loro di prendere vita dentro la testa e nell’immaginazione di chi li legge.