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Si dice ci e altre pedanterie

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Si dice ci? Lo so che ne abbiamo già parlato, ma, ecco, mi era rimasto qualcosina da dire sul discorso.

Intanto, il discorso di mio fratello

A me mi piace.

A te ti piace.

A lui GLI piace (a lei LE piace).

A noi ci piace.

A voi vi piace.

A loro gli piace.

Intanto, abbiamo già valutato che non è a mio fratello ci piace (come non è ci dicevo: e come direbbe Guccini, il fatto che in italiano ci e ci, entrambi sbagliati, si dicano nello stesso modo complica orrendamente le cose), ma a mio fratello gli piace.

si dice

Ma si dice o no?

Il che ci riporta ad un discorso che abbiamo già preso altrove. Sottintendendo che il pronome per mio fratello è lui, si dice a lui gli piace?

Chiaro, questo apre un dibattito immenso parallelo a quello del a me mi, che abbiamo già avuto modo di esplorare. È chiaramente lo stesso tipo di rafforzativo che abbiamo già avuto modo di vedere, ma potrebbero esserci delle differenze.

È facile infatti, parlando, rendersi conto che la stragrande maggioranza delle persone fa confusione su un certo uso delle particelle pronominali.

A lui gli piace è corretto, sì. Usa un rafforzativo (la forma normale sarebbe a lui piace), ma è corretto. Ma se dovessimo dire che a lui piace una ragazza?

Lo so, lo so: leggendo diventa ovvio a tutti che la forma corretta implica l’aggiunta del lei alla fine della frase: a lui gli piace lei o, in questo caso, molto più delicata, semplicemente a lui piace lei.

E ora ascoltate

Ma alzate le antenne e percepite quanti dicono a lui le piace.

A lui

le

piace.

Che è proprio una impossibilità grammaticale. Se è lui non può essere le.

Eppure, nel parlato (e fortunatamente è così solo esclusivamente in esso, nella stragrande maggioranza dei casi) capita spessissimo di scambiare il pronome del soggetto con quello del complemento oggetto, o viceversa.

Perché?

Perché non ci fanno caso, perché nella maggioranza dei casi sono persone che hanno imparato tardi il fatto che se si parla al femminile ci va il pronome femminile, lei, ma dov’è che andava, aspetta, doveva sostituire quello maschile (confusione di regole), ed ecco che nella velocità della formulazione della frase a fronte di una regola non troppo conosciuta si assiste alla nascita di a lui le piace al posto di a lui piace lei.

Nello scritto uno ha più tempo per rifletterci e anche una porzione di secondo in più riesce a far scorgere l’errore.

Ma provate a farlo notare…

Diventerete subito dei ehhh, come sei, dei grammar nazi, dei rompicoglioni. E, tutto sommato, potrebbero anche aver ragione. Perché comunque, come spesso riporto, l’utilità funzionale della lingua sta nella comunicabilità, non nella correttezza (ci sarebbe da fare anche un discorso di bellezza, tuttavia essa è probabilmente più indicata per altre situazioni). Pertanto una frase (orale) composta scorrettamente ma dalla funzionalità comunque chiara ha una funzione presa; di contro, una frase impeccabile ma dalla comprensibilità estremamente molto bassa compie una funzione praticamente nulla ed è come se non esistesse.

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Quelli che riprendono sempre tutti sulla costruzione della frase…

Mi piace fare una precisazione. Questa situazione si rivela nella SPG, Sindrome da Pedanteria Grammaticale, che se vissuta in maniera patologica (disturbo nel sentire gli errori e necessità assoluta di riprenderli) rientra nei disturbi DOC (Disturbi Ossessivo Compulsivi), mentre se vissuta in maniera sana (come passione per la scrittura e ricerca del modo più corretto per ogni situazione) porta invece alla capacità tipica del revisore di testi o editor e si configura nel campo delle professioni.

O magari entrambe, eh.