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Si dice a me piace o a me mi piace?
La verità
Smontiamo una volta per tutte questa insana convinzione dei puristi della lingua che alla fine ci sfranfrungiano (voce del verbo) anche un po’ la fava, via.
A me mi piace è una doppia espressione del pronome, prima nella forma tonica (a me) e poi in quella atona (mi). Ma non è una cosa casuale.
Questa ridondanza rappresenta l’esigenza di porre in rilievo degli elementi, esigenza che è propria della lingua parlata e che in teoria non dovrebbe mai trovare riscontro in quella scritta.
Le rilevanze
Questo già ci dice una cosa: nella forma parlata tale esigenza esiste e in qualche modo va soddisfatta e risolta.
Inoltre, ci sottolinea anche un’altra cosa: la differenza tra il parlato e lo scritto. Tuttavia, anche in questo caso bisognerebbe chiarire se lo scritto in questione vuole essere un testo formale o, come è molto più probabile, un testo informale, magari colloquiale, caldo (un romanzo, un racconto), che potrebbe anche voler rappresentare un testo parlato. In tutti questi casi questo rafforzativo trova la sua ragion d’essere e non solo non è sbagliato ma anzi, è necessario.
A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta.
(I promessi sposi, capitolo XVI)
Davvero, un rafforzativo
Del resto, sottolineando che anche la Crusca ha più volte specificato che a me mi non è un errore ma semplicemente una ridondanza, sicuramente necessaria come utilissimo rafforzativo per dare alla frase un’enfasi più marcata (quanti ceffoni ci vorrebbero ora alle maestrine e professorine di elementari e medie che segnavano con matita blu l’errore gravissimo che errore affatto non era).
Usatissimo
Abbiamo citato il sempre utilissimo Manzoni, ma possiamo anche arrivare a tempi più recenti con Vasco Rossi che dice a me mi fa impazzire e Jovanotti con a me mi piace andare veloce. Per non parlare dell’eterno Gigi Proietti: a me me piace!
Del resto, se appunto è presente nel testo del Manzoni (e nell’uso italiano) è perché l’autore si decise ad andare a sciacquare i panni in Arno, laddove, in Toscana (culla dell’italiano, non dimenticatelo mai) è un costrutto particolarmente usato. E oh, a noi ci garba!
Una specifica
Per chi non lo sapesse, sciacquare i panni in Arno è un modo di dire che si deve proprio al Manzoni, il quale, espertissimo di marketing, lo usò per indicare la sua volontà di sistemare il testo de I Promessi Sposi per adattarsi il più possibile alla lingua fiorentina, cioè quella considerata la lingua italiana per antonomasia. Più in generale, quindi, questa espressione sta ad indicare la volontà di usare un modo di esprimersi corretto.
Detto questo,
A lui
veniamo al nostro a lui ci piace. Anche se qua, davvero, non c’è molto da dire:
A me mi piace.
A te ti piace
A lui GLI piace (a lei LE piace)
A noi ci piace
A voi vi piace
A loro gli piace
Spero davvero che non serva altra spiegazione.
Ma neanche un italiano, eh.
Laureato in Belle Arti, grafico qualificato specializzato in DTP e impaginazione editoriale; illustratore, pubblicitario, esperto di stampa, editoria, storia dell’arte, storia del cinema, storia del fumetto e di arti multimediali, e libero formatore. Scrittore e autore di fumetti, editor, redattore web dal 2001, ha collaborato e pubblicato con Lo spazio Bianco, L’Insonne, Ayaaak!, Zapping e svariate testate locali.