Gira da sempre, nel panorama editoriale italiano, il detto, che è poi diventato diffusa convinzione, secondo cui non convenga pubblicare racconti e/o poesia, perché “tanto non vendono”.
Lo si ripete da così tanto tempo che già nel ’42 Einaudi, ad un diciottenne Italo Calvino che proponeva una raccolta di racconti dal promettente titolo Pazzo io o pazzi gli altri, rispondeva “la nostra casa non accoglie per principio che libri unitari”, ossia romanzi. E Pavese, Cesare, rincarava, consigliandogli “i racconti non si vendono, bisogna che fai il romanzo”.
Lo si ripete e per certi versi pare anche piuttosto vero, se si pensa che una delle poetesse più note d’Italia, Alda Merini, faceva la fame e che tra i più numerosi beneficiari della legge Bacchelli, fondo a favore di cittadini illustri che versano in stato di indigenza, ci sono giustappunto svariati poeti – tra cui la Merini stessa.
Ma allora perché, viene da chiedersi, quali sono le ragioni per cui racconti e poesia siano ormai considerati le Cenerentole della letteratura italiana, mai invitati al ballo da grandi – e piccoli – editori?
Proviamo ad esaminarne alcune.
I racconti
La prima motivazione che viene in mente per giustificare l’idiosincrasia tipicamente nostrana nei confronti del racconto breve fa scomodare la psicologia e citare la celeberrima “profezia che si auto-avvera”: la convinzione che le novelle non vendano fa sì che se ne pubblichino poche, quindi se ne leggano e se ne conoscano poche, quindi effettivamente non siano in molte ad essere vendute.
Di pari passo va la triste constatazione, altrettanto nota, che l’Italia è un popolo più di scrittori che di lettori: già non si legge granché, la forma breve, di per sé considerata meno “immersiva”, di conseguenza con una minore capacità di coinvolgimento, pare un azzardo commerciale. Se già di suo l’italiano medio legge poco o niente, perlomeno con un romanzo si può sperare di interessarlo almeno fino alla fine, per semplice curiosità di vedere, appunto, come terminerà. Una raccolta di racconti, invece, potrebbe facilmente essere lasciata in sospeso: se ne legge uno, poi dopo molto si legge l’altro, il che ridurrebbe ulteriormente il consumo già non considerevole di libri acquistati. Non per un caso molte operazioni di successo recentemente hanno puntato sulle serie anche per adulti, da 50 Sfumature a Millennium, al Trono di Spade.
Va inoltre detto che scrivere un buon racconto è tutt’altro che facile: se in un romanzo alcuni cali di tensione o qualitativi possono essere tollerati e, sulla lunghezza, addirittura trascurati, una forma narrativa più compatta come quella breve richiede un’attenzione e un’essenzialità maggiore, tempi rapidi, un numero limitato di parole come di personaggi. Insomma, una bravura e un’accuratezza stilistica di un certo spessore. Come scriveva il già citato Calvino nelle sue Lezioni americane, il vero segreto di un buon racconto è l’esattezza: “un disegno dell’opera ben definito che evochi immagini visuali nitide e incisive (icastiche) con un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione”. Scusate se è poco.
Last but not least, una raccolta di racconti dovrebbe essere coesa, avere una forte unità tematica o formale, non presentarsi come una sequela di storie brevi messe insieme a caso. Non guasterebbe, tra l’altro, che già dalla scuola si imparasse ad apprezzare questo formato narrativo, invece di concentrarsi esclusivamente – o quasi – su quello del romanzo, di cui spesso sono analizzati stralci invece di una, tra l’altro anche più pratica, comparazione di racconti.
La poesia
Ricollegandoci a quest’ultimo punto, anche nel disamore del popolo italiano per l’ars poetica viene rintracciata una forte responsabilità della scuola, rea, secondo molti, di insegnarla così male che molto spesso gli studenti finiscono per odiarla, un po’ perché troppo “vivisezionata” dall’analisi lirica, un po’ perché trattata in maniera eccessivamente soporifera.
Un’altra motivazione per cui la poesia pare uno dei generi meno gettonati per la pubblicazione deriva probabilmente dal nostro essere “un popolo di santi, poeti e navigatori” di mussoliniana memoria: pochi leggono poemi ma fin troppi li scrivono, superando di gran lunga in offerta la domanda e sfociando in una serie di libri semi-autopubblicati (o, più spesso, pubblicati con case editrici a pagamento) che intasano il mercato abbassandone il livello qualitativo.
Qui, ad esser sinceri, non può non sottolinearsi anche una certa colpa delle edizioni: come ammette un loro esponente, l’editore Nicola Crocetti “nessun prodotto vende se non è promosso, se è distribuito in pessimo modo come la poesia oggi nel nostro Paese”. Leggesi case editrici in preda alle logiche di mercato, zero investimento sulla ricerca di qualità. E ricercare la qualità in materia poetica non è certo cosa facile: non esistono più delle linee di demarcazione nette, dei canoni estetici definiti, e spesso la poesia contemporanea non aiuta, prediligendo elitismo e incomunicabilità.
Tornando ai gusti dei lettori, c’è chi sostiene che lo spazio un tempo occupato dai componimenti poetici è ora preso dai testi delle canzoni, più accessibili e meno impervi a livello di significato.
Interessante, da questo punto di vista, le considerazioni di due grandi letterati del nostro recente passato: Pasolini, che riteneva la poesia “merce inconsumabile”, quindi anticonsumistica per eccellenza, per la sua intrinseca incapacità di venir “risolta” una volta per tutte (una lirica anche letta mille volte può sprigionare un nuovo significato); e Montale, secondo cui la poesia non è più possibile in questa società di comunicazioni di massa, perché ha bisogno di riflessione, solitudine, silenzio, discrezione, non di caos e “esibizionismo isterico”.
Racconti, poesia: che fare?
Al netto delle diverse possibili spiegazioni per cui racconti e poesia non si pubblichino facilmente, quali le soluzioni eventuali da adottare?
Per quanto riguarda i racconti, si sta già muovendo qualcosa, come la realtà di Racconti Edizioni, nata da 5 anni e dedicata solo alle short stories; o quella di Cattedrale, un progetto/portale che nasce con l’intenzione monitorare, promuovere e sostenere il racconto nella sua forma letteraria. Oppure raccolte dai titoli provocatori (e scaramantici), come I racconti non si vendono. Non sei mica Carver di Maurizio Carletti.
Più nebuloso sembra l’orizzonte riguardo alla pubblicabilità della poesia: sta dilagando su Instagram, dove sono sempre più numerosi gli Instapoets che in alcuni casi hanno sfondato anche editorialmente – come Rupi Kaur, poetessa con 3 milioni di follower rimasta per 145 settimane nella lista dei best-seller del New York Times, o l’italiano Guido Catalano, i cui versi, condivisi migliaia di volte sui social, ne hanno anticipato il successo editoriale. E viene festeggiata dovunque il 21 marzo per la giornata della poesia istituita dall’UNESCO. Ciò nonostante il percorso per un riscatto conclamato di questo genere letterario pare ancora un po’ in salita.
Nel nostro piccolo, perché non contribuire andando in libreria e facendosi consigliare una buona raccolta di racconti e un buon libro di poesie?
Scrivo da sempre. Da quando ancora non sapevo farlo, e scrivevo segni magici sulle tende di mia nonna, che non sembrava particolarmente apprezzare. Da quando mio nonno mi faceva sedere con lui sul lettone, per insegnarmi a decifrare quei segni magici, e intanto recitava le parole scritte da altri, e a me sembravano suoni incantati, misteriosi custodi di segreti affascinanti e impenetrabili, che forse, un giorno lontano, sarei riuscita a comprendere e che, per il momento, mi limitavo ad assaporare sognante. Sogno ancora, tantissimo, e nel frattempo scrivo. Più che posso, ogni volta che posso, su ogni cosa mi appassioni, mi incuriosisca o, più semplicemente, mi venga incontro, magari suggerita da altri.
Scrivo per Hermes Magazine e per altri siti, su vari argomenti, genericamente raggruppabili sotto il termine di “cultura“. Scrivo anche racconti, favole, un blog che piano piano prende forma, un libro che l’ha presa da un po’ e mi è servito a continuare a ridere anche quando tutti intorno a me sembravano impazzire (lo trovate ancora su Amazon, mai fosse vogliate darmi una mano a non smettere di sognare).
Scrivo perché vorrei vivere facendolo ma scriverò sempre perché non riesco a vivere senza farlo.
Scrivo perché, come da bambina, sono affascinata dal potere di questi segni magici che si trasformano in immagini, in pensieri, in storie. E, come da bambina, sogno di possedere quella magia che permette loro di prendere vita dentro la testa e nell’immaginazione di chi li legge.