"Di fulmini, dame e altre storie” in mostra al MADRE di Napoli

“Di fulmini, dame e altre storie” in mostra al MADRE di Napoli

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Mathelda Balatresi/Veronica Bisesti. Di fulmini, dame e altre storie è il primo appuntamento di Materia di Studios, progetto a cura di LET_Laboratorio di Esplorazioni Transdisciplinari del Museo Madre.

La mostra, che sarà visitabile fino dal 10 novembre 2022 al 23 gennaio 2023, è il prodotto di un confronto/dialogo intergenerazionale tra due artiste Mathelda Balatresi, toscana d’origine e napoletana di adozione, e Veronica Bisesti, giocato sul terreno dell’archivio inteso come materia vivente, connessa plasticamente alla ricerca e alla pratica artistica.

Come nasce la mostra di Mathelda Balatresi e Veronica Bisesti?

Con il progetto Materia di Studios, LET origina un dialogo tra artiste e artisti di diverse generazioni articolato sul terreno dell’archivio, letto come stratificazione di vissuti, esperienze, documenti, testimonianze, all’interno dell’orizzonte significante dello studio d’artista.

La prima coppia è costituita da un duo al femminile: Mathelda Balatresi e Veronica Bisesti, separate da due generazioni le artiste hanno intersecato le loro esperienze e le loro rispettive poetiche, dando inizio a un dialogo fluido, sincero e appassionato. Comune a entrambe è l’interesse per le figure di donne del passato, cui si attribuisce potere carismatico e capacità di rappresentare istanze decisive e attuali.

Foto di Amedeo Benestante

Ideali femminili del passato e ricontestualizzazione di essi nella contemporaneità

Se per Balatresi, tra tutte le figure femminili è Ipazia (355-415) scienziata e filosofa alessandrina a incarnare la battaglia per la libertà di pensiero, per Bisesti è Christine de Pizan (1363-1430) autrice del romanzo utopico “La Città delle Dame” nel quale descrive una società allegorica al cui centro è la donna virtuosa concepita come risorsa per l’intera comunità.

Trasformando l’archivio-casa-studio-opera-memoria in un racconto evocativo, Veronica Bisesti, interprete sensibile delle tensioni etiche che innervano il percorso artistico e biografico di Balatresi, ha assorbito quest’ultima (l’artista e il suo lavoro) nel mondo immaginifico di Christine de Pizan, scrittrice protofemminista vissuta a cavallo tra Trecento e Quattrocento. L’opera di Mathelda Balatresi, chiamata di diritto a far parte di quel sistema virtuoso e autosufficiente che de Pizan denominò Città delle Dame, è stata così tradotta in chiave letteraria.

Attraverso questo portale, che richiama un ideale universo femminista e lo ricontestualizza nella contemporaneità, la casa-archivio e il lavoro tutto di Balatresi si sono rimaterializzati sotto forma di pensieri inediti, da ricollocare nello spazio-tempo e rinominare in ragione della nuova narrazione generata dalla capacità plastica della finzione letteraria, che ha trasformato gli stessi titoli e le date delle opere, conferendo loro una doppia e ambivalente identità.

Una nuova cartografia ridisegna ora l’ambiente, cadenzato da testimonianze e lavori che non appartengono più alla storia individuale di Mathelda Balatresi, poiché immersi in un contesto del tutto innovativo. Inscenati in mostra; monumenti equestri femminili, interni domestici e metafisici, i fulmini rubati a Zeus, donne ritratte nelle più svariate pose (sedute a un tavolo, lacrimanti, in sella a un cavallo, avvolte in un rotolo…), opere che ci parlano di una vicenda privata che corrisponde alla condizione delle donne nella società patriarcale.

“Di fulmini, dame e altre storie è una  una scrittura poetico-visiva a quattro mani, potentemente suggestiva ed estremamente intrigante.

Fonte foto: exibart

Sullo sfondo, l’universo femminile di Christine de Pizan, su cui da tempo lavora Bisesti, che la ritrae nel proprio studio in vico del Sacramento, la evoca nelle pietre rilucenti che costellano la Città delle Dame e nell’essenziale scriptorium da cui emerge un suono, un sottile crepitio che rimanda all’attivazione del fuoco del sapere, su cui vigila il barbagianni disegnato da Balatresi, che richiama la civetta cara ad Atena, ma anche nella conocchia/pennino, simbolo di conoscenza, come nella curativa foglia di aloe, metro di costruzione di questa città ideale. Il disagio per la cultura maschilista che relega la donna a ruoli di subalternità, la rilettura di figure del mito e della storia, l’attitudine a forme di immedesimazione volte alla riaffermazione della propria identità: tutto fa pensare all’ineluttabilità del dialogo tra le due artiste, che sembrano aver lavorato, a distanza di tempo, su temi molto simili, accomunate da un profondo e affine sentire. Già latente negli spazi dell’archivio, questa corrispondenza tra sensi e individualità può tornare alla luce, illuminata dall’incontro tra i percorsi di due artiste contemporanee che, con la loro estrema lucidità sovvertono i sistemi di esclusione.


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