La notte stellata di Van Gogh

“Con un quadro vorrei poter esprimere qualcosa di commovente come una musica. Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo l’aureola, e che noi cerchiamo di rendere con lo stesso raggiare, con la vibrazione dei colori […]. Ah, il ritratto, il ritratto che mostri i pensieri, l’anima del modello: ecco cosa credo debba vedersi”.
(Vincent Van Gogh, 3 Settembre 1888)

Una vita tormentata, finita a soli 37 anni. Ma una mano in grado di rendere vivo ciò che è inerme, di donare un’anima ad un’immagine. Era – è – Vincent Van Gogh.

L’uomo dietro al pennello

L’esistenza di Vincent non fu semplice, segnata da frequenti cambiamenti e da anni di tormento interiore. La sua stessa nascita fu, per sfortunata coincidenza, legata ad un evento tragico: venuto alla luce il 30 Marzo 1853 nella famiglia di un pastore religioso, il pittore nacque esattamente lo stesso giorno del fratello maggiore, primogenito che fu tuttavia partorito già morto il 30 Marzo 1852. Il nome Vincent fu scelto proprio in sua memoria.

L’artista ebbe poi altri 5 fratelli, di cui il secondo, Theo, fu anche il suo più grande amico e protagonista di primo piano nel corso di tutta la sua vita. La maggior parte di ciò che conosciamo oggi su Vincent Van Gogh è dovuto ai continui scambi epistolari tra i due fratelli e in particolar modo a Theo, il quale conservò praticamente tutte le lettere ricevute.

Vincent non nacque pittore, come alcuni potrebbero pensare, e iniziò a far uso concreto del pennello solamente dai 28 anni. Prima di allora, si susseguirono una serie di vicissitudini, di cambiamenti e di trasferimenti che segnarono fortemente l’artista. Poco amante dello studio, sebbene in grado di parlare fluentemente olandese, francese, inglese e tedesco, Vincent iniziò a lavorare nel 1869 a L’Aia, per una nota casa d’arte, grazie alla quale ebbe poi la possibilità di vivere anche a Bruxelles e a Londra. In seguito ad una cocente delusione amorosa, cominciò ad approfondire la tematica religiosa e nel 1876 si licenziò, per tentare la carriera di missionario in Inghilterra, dedicandosi soprattutto agli umili e ai meno abbienti – una sensibilità che contraddistinse sempre anche le sue opere.

Già alle prese con una precaria condizione psicofisica, la svolta si verificò nel 1881, quando Vincent scoprì nella pittura un modo per liberare i propri tormenti interiori, ritrovandosi in un mondo che da sempre lo faceva sentire a proprio agio. Iniziò quindi a copiare dipinti famosi di autori che particolarmente apprezzava, come Charles Bargue o Jean-François Millet, prediligendo soprattutto soggetti realistici, come i contadini o la povera gente. Da allora, e in meno di dieci anni, produsse oltre 1000 opere tra dipinti, acquerelli, opere grafiche e litografie.

Nel 1883 si trasferì nel nord dei Paesi Bassi e in seguito a Nuenen. Nel 1885 si spostò ad Anversa, nel 1886 a Parigi, nel 1887 ad Asnières e nel 1888 ad Arles: fu lì che ebbe luogo il celebre episodio dell’automutilazione, in cui, dopo una discussione col collega pittore Paul Gauguin, Vincent tagliò il lobo del proprio orecchio destro con un rasoio.

Nel 1889, l’artista decise di sua spontanea volontà di soggiornare presso la casa di cura psichiatrica a Saint-Rémy-De-Provence, dove permase per circa un anno, tra alti e bassi e persino un tentativo di suicidio. Nel frattempo, il pubblico stava iniziando ad interessarsi alle sue opere e venne inoltre invitato ad esporre in diverse occasioni.

Nel 1890 incontrò il fratello Theo a Parigi ed in seguito si trasferì nel villaggio di Auvers-sur-Oise. Il 27 Luglio, Vincent Van Gogh venne trovato ferito da un colpo d’arma da fuoco nella sua stanza, a suo dire un tentativo fallito di suicido. Morì tre giorni dopo.

Venne sepolto in una bara rivestita da un drappo bianco e coperta di girasoli, il suo fiore preferito. Il fratello Theo morì sei mesi più tardi, oppresso dai sensi di colpa, e riposano ora uno di fianco all’altro nel cimitero di Auvers, in Francia.

La Notte Stellata

Fu proprio nella clinica di Saint-Rémy che Vincent dipinse De Starrenacht, la celeberrima oleografia su tela.

Van Gogh viene solitamente descritto come parte della corrente post-impressionista, un nuovo stile nato in seguito all’Impressionismo. Mentre quest’ultimo era però un vero e proprio movimento artistico, caratterizzato da esecuzioni all’aria aperta con tecniche rapide e spontanee, che catturavano la percezione visiva più che la realtà oggettiva, il post-impressionismo indica per lo più un periodo storico dell’arte, in cui i pittori studiavano i loro soggetti nel proprio atelier, con un utilizzo più variegato dei colori e una prospettiva sempre più personale.

Secondo le lettere inviate da Vincent a Theo, la Notte Stellata sembra essere stata dipinta in una notte tra Maggio e Giugno del 1889, e ritrae cioè che egli vedeva dalla finestra della sua stanza. La riproduzione non è però del tutto fedele alla realtà: Vincent ha volutamente portato all’esagerazione la sua veduta, esaltandone i dettagli per esaltare le sue stesse emozioni, trasponendo del dipinto della realtà ciò che il suo animo provava. La Notte Stellata non è quel che si vedeva, ma ciò che lui vedeva.

Nella parte sinistra dell’opera è subito visibile una figura scura che si staglia verso l’alto; un albero, forse un cipresso. Alla sua destra, invece, la quieta immagine di un piccolo paese di campagna, sereno tra le placide luci della notte e della quotidianità. Alle sue spalle, le Piccole Alpi francesi.

Ma il fulcro del dipinto è nella parte superiore, nel cielo, dove sagome e colori esplodono, evadono. Lo scintillio delle stelle diventano vortici, turbinii, pulsazioni spasmodiche che richiamano inquietudine, ma che allo stesso tempo affascinano e nella loro potenza avvolgono. Se le forme e le pennellate suggeriscono tormento, i colori invece trasmettono armonia, bellezza, la profondità dell’esistenza.

È un’opera, un capolavoro, che ispira mistero; e che forse più di tutti riesce ad esprimere l’animo travagliato di Vincent Van Gogh.