Toscana

Toscana, dove la pelletteria è un’arte


L’Italia è un paese bellissimo al pari di pochi, e questo nessuno lo può confutare. Tra le varie nostre ricchezze naturali, storiche e artistiche possiamo spaziare ampiamente. Le nostre radici sono ben salde in un passato che ha tessuto abilmente una fitta rete di eccellenze in termini di preziosità culturali. Tra queste, oggi ci concentriamo sulla pelletteria e l’argomento ci porta a parlare di una regione molto amata dai turisti e cioè la Toscana.

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Fonte foto: relaistoscana.com

 Cenni storici sulla pelletteria

 Il luogo dove avviene il trattamento della pelle si chiama conceria, che deriva proprio dal processo di lavorazione: la concia. La concia della pelle è una pratica fra le più antiche, utilizzata dall’uomo fin dalla preistoria. Nata come esigenza e divenuta mestiere durante il Medioevo, la concia è infatti un’arte storica, indispensabile per rendere la pelle imputrescibile e quindi utilizzabile dall’uomo. Il suo scopo è quello di rendere la pelle morbida, impermeabile, elastica e resistente nel tempo.

L’Italia è una delle nazioni più sviluppate e competenti nella lavorazione e nella concia della pelle, tanto che l’industria conciaria italiana è considerata un’eccellenza, rappresentando il 17% dell’intera industria mondiale. Tra i vari distretti conciari dello stivale quello toscano ha una storia e reputazione particolarmente prestigiose. Il cosiddetto distretto del cuoio si estende tra diversi comuni della provincia di Pisa e Firenze, ma è il distretto di Santa Croce sull’Arno il vero fiore all’occhiello di questa industria manifatturiera.

I maestri artigiani del ‘cuoietto fiorentino’ ancora oggi lavorano i loro prodotti a mano, e realizzano splendide borse, pratici zaini, ma anche accessori per la tabaccheria, eleganti portafogli e calzature. Secondo l’Associazione Conciatori nel distretto è concentrato circa il 35% della produzione nazionale di pelli ed il 98% della produzione nazionale di cuoio da suola.

La tradizione della pelletteria toscana

Firenze era già celebre per la produzione, la concia e la lavorazione della pelle nel ‘300. Come da consuetudine per i tempi, i lavoratori impiegati in questa attività si iscrivevano all’arte dei Cuoiai, associazioni di categoria che si costituirono con degli statuti molto severi che bisognava osservare con precisione. Erano previste, per esempio, punizioni gravissime per i calzolai che vendevano scarpe nelle quali erano mescolate differenti qualità di cuoio o altri materiali. Anche i sellai ebbero il loro statuto nei primi anni del 300 e stabilivano con regole molto precise le specie di cuoio da usare.

Famosi sono il cuoio d’asino o vero di mulo o di cavallo o di bue, i materiali da usare e le tecniche per le cuciture. Il mestiere veniva svolto principalmente sulle rive dell’Arno, ma, a causa delle tremende esalazioni (chi è stato in una conceria a cielo aperto sa che l’odore è pressoché insopportabile) dovettero spostarsi nella zona di Piazza Santa Croce: non a caso, in questo quartiere ancora esistono via delle Conce e dei Conciatori.

Furono in particolare gli artigiani di questa zona a dimostrarsi abilissimi nella  lavorazione del cuoio, facilitati dalla presenza del fiume e dalla riserva boschiva che circondava il comune, indispensabile per la produzione dei tannini vegetali con cui si conciano i pellami che diventano cuoio.

Nei secoli l’arte della pelletteria toscana si affinò sempre di più, e divenne fiore all’occhiello dell’artigianato fiorentino.  Le pelli lavorate erano soprattutto bovine e ovine, e servivano alla produzione di suole, tomaie, guanti, corsetti e per l’arredamento.

Oggi Firenze ha mantenuto una fiorentissima attività nella lavorazione della pelle e del cuoio. Oltre all’ovvio utilizzo di questi materiali nel settore dell’abbigliamento e della calzatura, è molto diffusa la rilegatura in pelle di pic coli oggetti da scrivania, portagioie, oggetti da fumo e da gioco. La legatura artistica degli oggetti in pelle viene eseguita con una tecnica antichissima che richiede una grande abilità.

La tecnica è denominata “lavorazione del cuoietto artistico fiorentino” L’oggetto viene ricoperto con strati di pellame molto sottile e leggero in modo che aderisca perfettamente alla superficie da ricoprire. Una volta ricoperto, l’artigiano procede alle operazioni di decorazione con applicazioni di altro materiale, con intarsi o con incisioni a fuoco.

La prima indagine di mercato sull’attività conciaria in Toscana è una relazione del 1768 scritta da Filippo Neri. Da questa emerge che a quel tempo la produzione di pellame nel Granducato di Toscana era attiva in più di 20 centri cittadini, garantendo ad ognuno di questi benefici a livello economico, anche se in misura diversa dovuta all’intensità della produzione. Firenze produceva da sola un terzo delle pelli presenti sul mercato.

Un altro terzo era prodotto nelle città di Pisa e Arezzo. È in questo contesto, che l’idea di uno sviluppo dell’industria conciaria prende piede anche in centri più piccoli e meno urbanizzati come Santa Croce sull’Arno.

L’industria della pelle, fu favorita dalla posizione geografica della Valdelsa e dalla presenza di vie di comunicazione consolidando una forte tradizione commerciale. Anche l’ambiente naturale ricco di boschi e d’acqua (tra l’altro, particolarmente adatta alla concia delle pelli bianche perché priva di ferro), ha favorito lo sviluppo e la crescita della nuova industria.

Tra i tanti fattori positivi sotto il profilo economico, questo nuovo mondo causò anche dei problemi, come le proteste di numerosi cittadini per i cattivi odori delle pelli e degli scoli putridi dei risciacqui che avvenivano durante il processo di lavorazione.

Verso la fine del 1800 la forte concorrenza delle industrie del nord Italia ma anche della Germania, Austria e Francia e l’aver trascurato un rinnovamento tecnologico, causò una crisi per l’industria della pelle. I produttori e gli industriali del settore, tuttavia, reagirono orientandosi verso prodotti meno raffinati ma indirizzati ad un consumo di massa e ad un mercato più ampio. Una scelta giusta, che consentì all’industria conciaria, nel complesso, di resistere alle difficoltà ed alla crisi, contrapponendosi alla tendenza nazionale al declino.

La costruzione della ferrovia e delle moderne superstrade dette poi un nuovo impulso all’industria della pelle a partire dal secondo dopoguerra favorendo la distribuzione e diffusione dei prodotti dell’artigianato conciario della Vedesa. Da allora l’industria della pelle si è raffinata e ancora oggi è conosciuta in tutta Italia, con prodotti di altissima qualità e manifattura, come l’abbigliamento in pelle e calzature esportati in tutto il mondo.

 Una delle aziende toscane di pelletteria più rinomate è la ditta Fratelli Peroni che vanta tra le sue realizzazioni migliori quella dedicata al sigaro toscano. Le custodie da tasca per i mezzi toscani vengono realizzati rigorosamente a mano da veri artigiani fiorentini con l’antica tecnica del “cuoietto artistico fiorentino” utilizzando materiali primi di ottima qualità, come il cuoio conciato al vegetale a Santa Croce sull’Arno.

Le cuciture sono invisibili, la rigidità perfetta per la tasca e per contenere i mezzi toscani. L’articolo cult è il portamonete che ricorda il tacco di una scarpa, realizzato in 37 passaggi di lavorazione con un pezzo unico di cuoio, che ha avuto una grande diffusione internazionale. Il lavoro artigianale fatto come nella grande tradizione fiorentina, abbinato alla vasta gamma di eccellenti prodotti, hanno apportato negli anni grandi successi e riconoscimenti alla ditta Fratelli Peroni, che nel 2007 è stata indicata nel rapporto annuale Eurispes come una delle 100 aziende italiane d’eccellenza.

Certamente la Toscana merita d’essere visitata anche per la sua tradizione artistica nella pelletteria.