Il potere educativo della "Favola": Esopo, Fedro e La Fontaine

Il potere educativo della “Favola”: Esopo, Fedro e La Fontaine


Fonte: artmajeur.com

Esistono dei generi letterari, radicati nelle culture di tutto il mondo ormai da millenni, che ancora oggi rispondono benissimo all’esigenza pedagogica (ma non solo) di educare e trasmettere in modo efficace dei modelli etici da seguire. La favola è uno di questi.

Da non confondere con la “sorella” fiaba, la favola è un racconto breve che ci permette di arrivare a una verità morale, cioè a un insegnamento. E per comunicare qualcosa di così importante, la maggior parte delle volte utilizza animali parlanti e umanizzati. Questi infatti, con le loro ben differenziate personalità, permettono di immedesimarsi con facilità in certi stili di comportamento ben delineati e riconoscibili. Chi non si ricorda della volpe che non arriva all’uva? O della formica operosa che fa provviste per l’inverno? O ancora (in uno dei finali più traumatici) del lupo che con dei falsi pretesti mangia l’agnello innocente?

Beh, se questi accenni vi hanno fatto tornare alla mente qualche ricordo d’infanzia, sicuramente ricorderete anche che ognuno di questi racconti aveva come scopo finale quello di farvi riflettere su una morale più profonda, che andava ben oltre la semplice storia infantile.

Chi sono gli autori più famosi di “favole”?

Se pensiamo alla favola, i primi nomi che ci vengono in mente sono quelli di Esopo, Fedro e La Fontaine.

Sono autori nati e vissuti in periodi completamente diversi e distanti, ma tutti mostrano un interesse per quel genere dalle intenzioni morali, così simile alla satira ma diverso per gli elementi fantasiosi e per un carattere più riflessivo e pacato.

Le favole di Esopo

Vissuto intorno al VI secolo a.C. ,  Esopo fu uno schiavo di origine frigia e avrebbe avuto aspetto deforme e lingua impacciata dalla balbuzie. Ma per fortuna trovò un altro modo per comunicare: pare infatti che sia proprio lui l’inventore del genere favolistico, tramandandoci attraverso i secoli (grazie all’operato di altri autori successivi) una raccolta di 500 favole.

Le favole di Esopo sono quasi tutte molto brevi. Ciascuna favola termina con una morale, ossia l’insegnamento che si deve trarre dalla vicenda narrata. La morale della favola esopica è a volte ottimistica, ma più spesso amara, soprattutto quando dimostra che a questo mondo non basta avere ragione per ottenere giustizia, o almeno per non subire ingiustizia. Protagonisti degli episodi sono soprattutto gli animali che parlano e si comportano come persone, e rappresentano con i loro comportamenti i vizi e le virtù degli uomini.

La favola “La volpe e l’uva” è forse la più famosa e racconta di una volpe affamata che non riesce a raggiungere un grappolo d’uva e, dopo tanti tentativi falliti, alla fine esclama: “Meglio così, tanto di sicuro quel grappolo era ancora acerbo e mangiarlo mi avrebbe fatto venire mal di pancia!

La morale è che non bisogna disprezzare qualcosa solo perché non lo si può ottenere, come fanno le persone che non ammettono di non riuscire in qualcosa. Piuttosto sarebbe meglio impegnarsi di più per raggiungere l’obiettivo, con molta pazienza e umiltà.

Le favole di Fedro

Riprendendo la tradizione ormai radicata sia in Oriente che in Occidente, anche Fedro si dedica al genere favolistico. Le sue “fabulae”, in latino, sono state scritte agli inizi del I secolo a.C. e – dichiaratamente ispirato alle opere di Esopo – Fedro vuole che le sue favole siano educative e aperte a tutti, e quindi conclude ogni storia con una morale che deve servire da esempio per chi sbaglia nella favola (così come nella vita reale).

Nelle sue storie spesso i caratteri etici del bene sono figurate da animali come agnelli, cani, uccelli e topi; mentre il male e la cattiveria vestono i panni di gatti, lupi, leoni o rospi.

Un esempio famoso è la sopracitata “Il lupo e l’agnello”, in cui un lupo accusa un agnello di sporcare l’acqua da cui entrambi bevono, anche se l’agnello si trova nella parte più bassa del torrente. Alla fine si capisce che quello del lupo era un subdolo pretesto per uccidere e mangiare la sua preda.

La morale, dallo sfondo piuttosto politico, è che spesso gli uomini potenti opprimono le persone innocenti con delle false giustificazioni.

Le favole di Jean de La Fontaine

Vissuto nella Francia Seicentesca, appassionato della filosofia Epicurea – dalle visioni scettiche e libertine – La Fontaine si presenta come un continuatore di Esopo e Fedro. Amante della pace della campagna, ma anche assiduo frequentatore della vita mondana parigina, La Fontaine ritrova nella “favola” un modo creativo e intelligente per criticare i costumi della società (seguendo anche il filo di una tradizione medievale francese di storie comiche, dove gli attori erano personificazioni di animali).

La morte è uno degli elementi ricorrenti nelle Fables choisis mises en vers  (Favole scelte in versi, del 1679) per esprimere il diritto del più forte, senza però trascurare nella narrazione il senso di solidarietà e di pietà verso gli infelici.

Una favola famosa, che in origine era di Esopo e poi è stata rielaborata in chiave più moderna dall’autore francese, è quella del “Corvo e la Volpe”. Questa racconta di un corvo che tiene il suo pezzo di formaggio stretto gelosamente nel becco e di una volpe furba che riesce a sottrarglielo facendogli dei complimenti sulla sua bellezza; il vanitoso Corvo infatti cede alla tentazione di far sentire il suo soave canto e, nel farlo – con il suo “Cra! Cra!” – si lascia sfuggire il formaggio.

La morale comune è quella di fare attenzione e non farsi adulare da facili promesse o cedere alla vanità, anche se qualcuno ci fa bellissimi complimenti, perché potrebbero non essere sinceri e avere un secondo fine.

Il fascino della favola e il suo potere educativo sono quanto mai attuali! Se volete approfondire, qui potete trovare dei testi molto interessanti.