Liturgie di un magnifico: Edoardo Callegari

“Liturgie di un magnifico”: Edoardo Callegari


Fonte foto: Edoardo Callegari

Liturgie di un magnifico di Edoardo Callegari: la luce “sull’orlo del visibile”

Liturgie di un magnifico (Puntoacapo Editrice 2022), raccolta di liriche, poemetti, prose e frammenti di Edoardo Callegari (Piacenza 1977), riverbera una chiamata di luce, addentrandosi nella pienezza dell’ascolto e della ricerca interiore.

Liturgie di un magnifico: Edoardo Callegari

Un cammino mistico, da intendersi all’apice “non più sulle vette dell’anima, ma al suo fondamento”, abbraccia paesaggi biografici e storico-letterari in un’esperienza contemplativa ai confini del visibile, dove la stessa finitezza umana diviene luogo di attraversamento, “stanza segreta del Cantico dei Cantici.

Attingendo al bacino immaginifico giudaico-cristiano e dialogando con figure cardine come Dante, Petrarca e Celan, la scrittura colta e sfaccettata dell’autore esplora il limite del linguaggio di fronte al divino.

Il fenomeno di una donazione luminosa si spande in una “fresca fiamma”, un soffio immenso senza traduzione possibile: “una sospensione del tempo in cui lo spazio fatto dentro di sé si manifesta come ouverture radiosa”.  Tra attesa, immersione e perdita, l’esplorazione sgorga così nell’implorazione, nello “sguardo di un Magnificat colmo di gratitudine e devozione.

Mediante il suo “vangelo dell’infanzia”, “mondo / a gran vento nell’estate / di un Appennino delle genti”, Callegari indaga la significazione di un dono assoluto e non trattenibile, l’amore nella sua accezione più pura e creaturale: una breccia di luce fino alla sfida tagliente della parola di fronte alla bellezza.

“…Il canto della terra è un proteggere

la bellezza, tagliando primizie

da portare al tempio. Questo significa

che per proteggere la bellezza

è necessario rischiare il taglio

tra la potatura e il canto nuovo.

L’amato chiede all’amata del Cantico

questo rischio, ed è ciò che lui stesso fa:

il rischio di Dio è quello di essere

tagliato in parola. Ho vissuto

allargato dentro il respiro di tutto questo.”

Vicinanze e distanze siderali d’amore: “Laniakea”

Nella dimensione cristallina dell’anima resta il paradosso di vicinanze e distanze siderali. La poesia Laniakea offre una raffigurazione suggestiva di questo sentire, legando l’amore tra padre e figlio a un cuore umano disegnato nell’universo:

“Laniakea1

                                               A mio padre

 

In Omero

le parole per descrivere l’uomo

sono le stesse usate per definire

la luce. E in questo c’è una luce

fermata dall’emulsione di tutto

lo spazio presente e che verrà.

Ed è nella contemplazione estiva,

senza i preparativi necessari

del clima, prima del contemplabile

autunnale più presto pacificato.

Penso al tuo autunno che cade all’unisono

ritraendosi alla luce

per contemplare se stesso

[…]

I nostri giorni avranno

nascite come un addio fedele

è addio alla bianchezza dalla dominanza

del bianco, antecedenti l’una all’altra,

e una tale reticenza

éclaire d’insignifiance

sarà la sola presenza del nostro

mero essere donato

e una risposta, satura di donazione.”

(1Laniakea è una parola in lingua Hawaiiana che significa ‘Cieli Incommensurabili’. Il nome indica un Superammasso di circa centomila Galassie in cui è compresa anche il gruppo locale della Via Lattea. In accordo con la velocità relativa delle galassie, i moti coerenti di queste strutture, nel loro movimento reciproco, formano un arco di duecento gradi, simile a un cuore di luce. Noi abitiamo una parte di universo che ha la forma di un cuore umano.)

 

Di bianco in bianco, dove ogni mattina è nascita e “addio fedele”, un battito esteso annoda l’estate all’autunno dell’“albero della vita”.

L’arte dell’umiltà, le mani e il cielo

Davanti all’incommensurabile, il dischiudersi delle vedute incontra la povertà di uno scrigno. L’impossibilità di trattenere restituisce l’essenziale, dando vita a un dialogo spirituale senza fine. In particolare, nell’immagine insistita delle mani si riscopre l’arte dell’umiltà, via maestra di “profondità invisibile” e “giusta preghiera”.

“…Così, quando come un cedro davanti

alla solitudine, entrambe le mani

ci insegneranno a camminare a fronte

scoperta, là sorgerà

la profondità invisibile

e la giusta preghiera…”

Proprio ciò che si rivela spoglio può infatti essere innalzato e fungere da cassa di risonanza, esattamente come la semplicità disadorna della valle piacentina si spalanca alla luce e al vento fino al canto:

“Noi non abbiamo una Sistina affrescata che regge l’arco ofiolitico degli appennini, cieli di basalto; o – nei terreni intrisi e luce ariosa – torbiere che danno una terra di burro buono; non una Lescaux-Versailles parietale nelle profondità dei monti; non una Madonna del Parto di luce chiara sulle cortecce bionde dei faggi, ma, nell’orizzonte della valle, ogni paese si è sentito abbastanza umile da poter essere elevato e, in un cammino a gran vento di Visitazione – in cui ogni spalancata leggerezza dell’aria che si respira; ogni fioritura insolita di luce esultante; ogni altitudine che dilata fino al fondo di te la chiarezza del ridere, dà pienezza ad una parte di Magnificat – l’intero dialetto cantato della valle, si è proclamato sugli alti fatti di Dio: Magnalia Dei (At II, 11).”

Qualcosa di soffiato nella conca delle mani di un bambino” definisce una nuova preziosità, priva del concetto di possesso ma splendente nell’apertura e nel respiro del cielo.  

“…Chi ha per mani qualcosa

di scavato nel cielo,

le ricongiungerà.”